Massimo Nava: Chirac, l’erede di de Gaulle

'Mantenne la purezza della destra gollista e si oppose allo scontro di civiltà'.

a cura di Gianluca Vivacqua

Si prese la soddisfazione di festeggiare la Coppa del Mondo di calcio conquistata dalla Nazionale del suo Paese, oltretutto la prima in bacheca. Come un Pertini transalpino, ma di certo non socialista. E, in un torrido 14 luglio del 2002, un neonazista lo fece entrare nel novero degli uomini di Stato scampati ad un attentato mortale. E pensare che, nel momento in cui si trovò a condividere la sorte di Napoleone III a pochi passi dall’’Opéra Le Peletier o quella di de Gaulle a Pont-sur-Seine o al Petit-Clamart, Jacques Chirac non viveva affatto il periodo più difficile della sua storia politica. Anzi, qualche mese prima era stato riconfermato presidente della Repubblica francese con una maggioranza quasi plebiscitaria (dall’altra parte c’era Le Pen, e anche la sinistra aveva votato per lui). Momenti bui, di sicuro, ne aveva già avuti nel corso della sua lunga e paziente ascesa alla guida dello Stato, e altri, ancora più dolorosi, lo aspettavano al varco dopo la fine del secondo mandato presidenziale. Le rogne giudiziarie ereditate dai tempi in cui era sindaco di Parigi, la morte della prima figlia, sofferente da tempo di disturbi nervosi; e poi una salute tutt’altro che leonina. Ma prima che un’infezione polmonare se lo portasse via il 26 settembre 2019, dopo due ricoveri d’urgenza, l’ex presidente era riuscito a fare in tempo a dare alle stampe due volumi delle sue memorie. Complete, come quelle di Nixon e del suo “maestro” Eisenhower (anche de Gaulle scrisse le sue, ma rimase a metà strada): ora l’augurio è che, se proprio non potranno essere eisenhoweriane, almeno non diventino nixoniane, considerevoli, cioè, quanto alla mole di notizie biografiche ma ininfluenti sul piano della valutazione, e rivalutazione, storico-politica del personaggio. Intanto una fotografia dello Chirac “migliore”, quello destinato a passare alla storia, ce la offre Massimo Nava del Corriere della sera.

– Nava, storicamente cosa ha significato il trapasso dall’era presidenziale di Mitterrand a quella di Chirac?
”La Francia è un paese statalista, con una mentalità che tende ad essere complessivamente conservatrice. Non voglio certo dire fascista, ma fortemente ancorata ad una dimensione popolare molto agraria, provinciale. In fondo, anche se parliamo del Paese della grande rivoluzione del 1789, in Francia tutto ciò che rappresenta una rottura con la storia finisce con l’essere una parentesi. Anche la sinistra al governo lo è stata: e lo stesso Mitterrand, che pure, per alcuni versi, non può definirsi propriamente un leader di sinistra. Chirac ha rappresentato il ritorno, l’eterno ritorno, di una solida tradizione gollista-popolare-repubblicana. Al consenso derivatogli dalla storia politica di cui era figlio, Chirac seppe aggiungerne anche uno del tutto personale, grazie alla profonda capacità di sintonizzarsi con la gente”.

– Qual è l’eredità politica di Chirac?
”Fedele alla lezione di de Gaulle, Chirac ha lasciato un messaggio forte, inequivocabile, sull’assoluta necessità che la destra gollista non si mescoli con la destra estrema. Gli si deve inoltre una sincera autocritica dell’esperienza di Vichy e l’aver ribadito con fermezza il primato della laicità del Paese. Questo valga per quanto riguarda la politica interna. In politica estera, invece, posizioni coraggiose furono il suo no deciso alla guerra in Iraq nel 2003 e allo scontro di civiltà”.

– Sarkozy si è dimostrato un buon successore di Chirac?
”Anche se era considerato il delfino di Chirac, Sarkozy incarnava in effetti una visione di destra sostanzialmente diversa da quella chirachiana. L’ex ministro dell’Interno e delle Finanze era piuttosto il campione di una destra liberale di profitto, particolarmente attenta alla domanda di sicurezza interna. Sarei tentato di trovare una maggiore affinità tra Macron e Chirac che non tra Sarkozy e Chirac”.

– Nel corso della sua carriera politica Chirac ha fondato ben due partiti di destra (e di grande seguito) senza però trasformarli mai in partiti personali. Qual è la differenza rispetto a molti leader di destra di oggi, e allo stesso Macron?
”Il concetto di “partito personale” è davvero molto vago. Quando fondò i due nuovi soggetti partitici all’interno della destra francese, anche Chirac fece delle operazioni di rottura drastica con alcune correnti della vecchia ortodossia gollista, per arrivare, questo è ovvio, al potere. La differenza, semmai, sta in termini di comunicazione. Molti leader di oggi – non solo di destra, a dir la verità, e non solo specificamente populisti, tendono ad avere un dialogo diretto con gli elettori, senza mediazione. Accentuano il loro personalismo mettendosi in risalto rispetto al loro stesso partito.Chirac appartiene ancora all’epoca in cui la comunicazione leader, elettori era sapientemente filtrata attraverso una fitta rete di collaboratori, consiglieri etc. Anche sotto questo profilo mi sembra che Macron, a dispetto dei tempi, in fondo somigli molto a Chirac e agli altri politici della sua epoca”.