di C. Alessandro Mauceri –
Non si placano le polemiche sui migranti: ultimo (inutile?) tema dibattuto il diritto di una nave, con a bordo decine di migranti provenienti dall’Africa, di attraccare in un porto “sicuro”. C’è stato chi ha proposto di rimandarli in Libia. Poi, resisi conto che così facendo si sarebbe violato il diritto marittimo, le 64 persone (tra cui 12 donne e due bimbi di 11 mesi e sei anni), stipate per undici giorni nella stiva della nave Alan Kurdi, sono state sbarcate a Malta per essere subito ridistribuite in Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.
Purtroppo, ogni volta che si parla di “migranti” la discussione finisce per concentrarsi sul fermo di questa o quella nave, sul successivo consenso allo sbarco dei migranti e sul sequestro del natante. salvo dissequestrarlo dopo qualche settimana, senza conseguenze.
Nelle scorse settimane si sono tuttavia aggiunti due spunti polemici, per quanto poco utili a risolvere il problema.
Il primo è quello relativo alla decisione del vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini di non presenziare ad un importante incontro europeo in cui si doveva discutere proprio di migranti e di accordi per la gestione del fenomeno in Europa. Un’assenza dovuta alla partecipazione ad una trasmissione televisiva, per cui ha mandato un delegato ma non è chiaro con quali poteri di contrattazione. A quanto pare quella di disertare gli incontri con i suoi colleghi europei è ormai un’abitudine consolidata, ma anche un problema non secondario visto che questi incontri avevano come oggetto chi e come avrebbe dovuto accogliere i migranti, degli accordi di Dublino e gli obblighi per i paesi dell’Ue.
Il secondo spunto polemico è la denuncia presentata alla Corte penale internazionale (Cpi) nei confronti dell’Ue (Italia inclusa, ovviamente) circa il trattamento riservato ai migranti: nel documento di 245 pagine si richiede alla Cpi di condannare la politica migratoria dell’Ue in quanto “si sarebbe inteso sacrificare la vita dei migranti in difficoltà in mare, con l’unico obiettivo di dissuadere gli altri in situazioni analoghe a cercare salvezza in Europa”.
Si tratta di un argomento spinoso cui i governi europei hanno cercato di non dare troppa attenzione, ma che è tornato a galla non appena sono stati diffusi i dati delle persone annegate nel tentativo di attraversare il Mediterraneo per arrivare in Europa. Se da un lato il numero degli sbarchi in Italia si è sensibilmente ridotto, dall’altro il numero dei morti era e continua ad essere altissimo. “A un anno dall’annuncio del governo italiano di chiudere i propri porti alle navi umanitarie, almeno 1.151 persone, uomini, donne e bambini vulnerabili, sono morte, e oltre 10mila sono state riportate forzatamente in Libia”, hanno riferito Medici Senza Frontiere e Sos Mediterranee, che in una nota lanciano una pesante accusa: “Queste morti, che si sarebbero potute evitare, rivelano il costo umano di politiche europee irresponsabili”. A confermare il numero elevatissimo di morti tra quelli che tentavano di arrivare in Europa è anche Unhcr: “Da quanto le ong hanno dovuto ridurre i salvataggi in mare, sono calati anche gli interventi ma la proporzione di morti rispetto a quelli che arrivano continua ad aumentare ed è inaccettabile”, ha denunciato l’Alto commissario Onu per i rifugiati, Filippo Grandi, al Festival dell’Economia di Trento.
Solo nel 2019 sono 539 le persone che hanno perso la vita cercando di attraversare il Mediterraneo. Dato simile quello diffuso dall’Iom, l’Organizzazione Onu per le migrazioni, che parla di 543 morti.
Ma il dato più impressionante è l’aumento vertiginoso della percentuale di morti tra le persone che cercano di arrivare in Europa: nel 2019 sono morte 539 persone su 7.386 arrivi in Europa (inclusi quelli in Spagna e in Grecia), ciò significa una percentuale superiore al 7,2%. Una percentuale altissima specie se si pensa che solo un anno fa, nel 2018, su 141.472 arrivi di migranti, i morti sono stati 2.277, ovvero poco più dell’1,6%, un quinto di quella del 2019. Percentuale simile nel 2017, quando i morti sono stati 3.139 a fronte di 185.139 arrivi. Ciò significa che negli ultimi mesi cercare di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo è decisamente più rischioso per la vita dei migranti.
Di questo, però, il governo non ha parlato, né in Italia né, per delega, durante gli incontri che si sono tenuti con i ministri degli altri paesi dell’Ue.
Allo stesso modo nessuno ha pensato di porre l’attenzione su un altro numero: quello dei migranti accolti dalla Germania e poi rispediti in Italia, proprio in base agli accordi di Dublino: stando a quanto previsto nell’accordo, un richiedente asilo deve inoltrare la propria domanda di protezione internazionale nel primo paese di arrivo. Un dato importante e significativo: basti pensare che, secondo quanto riportato da numerosi giornali, da gennaio a maggio 2019 la Germania avrebbe rispedito in Italia 710 “dublinanti”, come sono stati definiti. Lo stesso era avvenuto lo scorso anno con migliaia di persone (2.848, secondo alcune fonti) rispedite senza tante chiacchiere in Italia. Migranti che entrano nel Bel Paese non attraverso il Mediterraneo e le navi delle ONG oggetto di polemiche senza fine, ma dalla Germania e dagli altri paesi europei, che si senza pensare alla ridistribuzione in discussione da anni hanno chiesto all’Italia di riprendersi i “propri” migranti. Così ai migranti provenienti dalla Germania si sono aggiunti altri 1.500 provenienti dalla Francia, 1.103 dall’Austria, 728 dalla Svizzera e 190 dai Paesi Bassi. Come dire che la maggior parte dei migranti “extracomunitari” entrati in Italia nell’ultimo periodo provenisse da paesi… comunitari.
Risale all’agosto 2018 l’accordo fra la Germania di Angela Merkel e la Grecia di Alexis Tsipras per la “restituzione” dei migranti, mentre quello con l’Italia è del mese successivo, con la firma volutamente passata in sordina sui media italiani.
Numeri, beghe sul diritto internazionale, stato delle cose più o meno dichiarato o usato come strumento politico, sono tutti argomenti che non tengono conto di due aspetti. Il primo “qualitativo”, ovvero che questi “numeri” sono in realtà persone, esseri umani con il proprio passato, spesso travagliato, che ha deciso di rischiare la propria vita (e, stando ai numeri, sempre di più) per raggiungere un paese dove poter vivere dignitosamente.
L’altro, quantitativo, è che in barba alle politiche di molti governi il numero dei migranti è in costante aumento in tutto il mondo. A confermarlo sono i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità: tra il 2000 e il 2017 il numero di migranti è cresciuto da 173 a 258 milioni (+85 milioni). Di questi solo 68,5 milioni sono stati allontanati a forza dal proprio territorio, il numero più alto mai registrato con 25,4 milioni che hanno lo status di rifugiati (oltre metà dei quali di età inferiore ai 18 anni). Gli altri, ovvero quasi 200 milioni di persone, hanno deciso di lasciare la propria casa per un solo motivo: sopravvivere.
Un motivo che molti governi non hanno compreso e per il quale le misure restrittive adottate finora con o senza la presenza di questo o quel ministro sono e saranno sempre inefficaci.