Migranti. L’accordo Italia – Albania rischia di affogare dal peso dei ricorsi

di C. Alessandro Mauceri

Si è parlato molto del Protocollo d’intesa tra Italia e Albania che prevederebbe la realizzazione nel Paese delle Aquile di due “centri per il rimpatrio” per ospitare migranti. L’accordo è stato siglato dalla premier Giorgia Meloni e dal suo omologo albanese Edi Rama nel corso di un incontro molto diffuso sui media. Ma non sono mancate le polemiche. La premier ha parlato di una novità assoluta, ma anche il Regno Unito aveva provato a fare la stessa cosa “spedendo” i richiedenti asilo addirittura in Ruanda. E prima ancora la Danimarca. In entrambi i casi i giudici hanno fermato tutto perché queste procedure violerebbero numerose leggi e norme di diritto internazionale. Trattati che anche l’Italia ha sottoscritto e ratificato.
Secondo quanto riferito ai media, l’accordo tra il governo albanese e quello italiano prevede di accogliere i migranti di sesso femminile e i minori e sbattere in Albania solo i migranti di sesso maschile. Una discriminazione che viola palesemente non uno ma almeno una mezza dozzina di accordi e norme internazionali e nazionali, a cominciare dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, che tra pochi giorni compirà ben 75 anni dall’approvazione, e dalla stessa Costituzione.
Altro aspetto degno di nota l’impegno da parte del governo italiano di sostenere tutti costi dell’operazione. In una recente intervista il premier albanese ha dichiarato che l’unico onere a carico del governo albanese sarà mettere a disposizione l’area. Tutti gli altri costi, infrastrutture, personale e spese di gestione, saranno a totale carico del governo italiano. Perché non realizzare queste strutture in Italia e creare nuovi posti di lavoro?
Tanto più che questo sistema non risolverà affatto il problema dei “migranti”. I due hot-spot potranno ospitare complessivamente circa 3mila migranti (la cifra di 30mila migranti all’anno deriva dal turn over lungo l’arco dei dodici mesi). Un numero risibile se confrontato con gli arrivi in Italia: solo nei primi 10 mesi del 2023, i migranti irregolari giunti in Italia sono stati oltre 123mila.
Il premier albanese è stato chiaro anche su un altro aspetto: i migranti che non potranno essere rispediti a casa, saranno rimandati in Italia. Dove continueranno ad aumentare il numero dei migranti irregolari che vivono in una sorta di limbo: in base al Decreto del 17 marzo 2023, contenente l’ “Aggiornamento periodico della lista dei Paesi di origine sicuri per i richiedenti protezione internazionale”, “sono considerati Paesi di origine sicuri: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia”. Senza possibilità di regolarizzare la propria posizione o di tornare nel proprio paese e senza neanche la possibilità di diventare “immigrati” regolari resterebbe ad aumentare il numero dei migranti irregolari.
Tutte discussioni basate, però, solo sulle poche notizie e sulle dichiarazioni dei due leader alla stampa. Dell’accordo tra il governo italiano e quello albanese finora non si è vista traccia. Né sui siti ufficiali italiani né sugli omologhi albanesi. Tanto che la Commissione europea si è riservata di esprimere il proprio giudizio sulla manovra adottata dal governo italiano dopo aver conosciuto i dettagli dell’accordo. In passato la commissaria europea agli Affari interni Ylva Johansson aveva dichiarato che il piano di trasferire migranti in un altro paese (si riferiva a Regno Unito e Danimarca) non costituiva “una politica migratoria umana e dignitosa”. La portavoce della Commissione ha dichiarato però che “potrebbero” esistere differenze tra il piano italo-albanese con quello adottato dal governo di Oltre Manica. Quello appena siglato tra Italia e Albania si applica a coloro che non hanno ancora raggiunto le coste italiane. Rilevante anche la differenza fra le persone salvate in acque internazionali e quelle salvate nelle acque territoriali italiane. “Dobbiamo prima capire il caso italiano prima di poter entrare nei dettagli. Dalle prime informazioni, non si tratta della stessa cosa. Ma anche in questo caso avremo bisogno di informazioni dettagliate”, ha detto la Hipper. Dal canto suo la premier Meloni, in un’intervista rilasciata al quotidiano Il Messaggero, ha detto di aver informato la Commissione in anticipo e di non aver ricevuto alcun giudizio negativo.
Intercettare i migranti non a terra ma in mare non risolverà il problema. Anzi. Secondo il disposto dell’appendice 2.1.10 della Convenzione di Amburgo sul soccorso in mare, valido anche per l’Italia, le persone soccorse in mare devono essere portate in un porto sicuro “senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata”. Proprio riferendosi a questa norma, recentemente, un giudice ha stabilito che “fra gli obblighi internazionali assunti dal nostro paese vi è quello di fornire assistenza ad ogni naufrago”. Ma il porto Shëngjin previsto come approdo in Albania è molto lontano dal Mediterraneo centrale. Sarebbe difficile in caso di ricorso giudiziario di un migrante, dimostrare che quello era il porto sicuro “più vicino”. E ancora. Il viaggio verso l’Albania potrebbe durare giorni: questo potrebbe peggiorare le condizioni di salute dei naufraghi soccorsi in mare. Un trattamento inumano e degradante che comporterebbe la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU).
Spedirli in Albania servirà solo ad aumentare le loro sofferenze. Con il rischio, per il governo italiano, di ripetere l’errore già commesso qualche decennio fa, nel 2009, quando una motovedetta della Guardia di Finanza, dopo aveva soccorso dei naufraghi in acque internazionali, li consegnò alle autorità libiche. Venne avanzata l’ipotesi di “respingimento collettivo” e nel 2012 l’Italia venne condannata dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo. La Corte sottolineò che, anche quando il soccorso avviene in acque internazionali, il codice della navigazione italiano, come del resto il diritto internazionale, riconoscono che sulla nave militare in alto mare si applica la giurisdizione dello stato della bandiera. In definitiva il nuovo accordo che prevede di portare i migranti soccorsi in mare in Albania senza prima farli arrivare in Italia non cambierebbe nulla.
Per chiarire tutti questi dubbi è necessario leggere attentamente l’accordo sottoscritto. Ma, e questo è forse il punto più controverso, finora il testo dell’accordo non è stato diffuso. Allora cosa c’era nelle carpette (una rossa e una celeste) firmate e scambiate tra la premier Meloni e il leader albanese, entrambi sorridenti, durante la “presentazione”? Intanto anche Amnesty International ha detto che, così come è stato presentato, l’accordo solleva molti dubbi di legittimità.