Obama si ritira dall’Iraq. Dopo morte e distruzione causate da Bush

di Guido Keller –

Se il secondo conflitto del Golfo, conosciuto anche come Seconda Guerra d’Iraq, per gli USA non ha rappresentato una sconfitta sul piano militare, di certo non si è tradotto come una vittoria in nessun altro settore, da quello politico a quello per la stabilizzazione dell’area. L’azione bellica era stata promossa innanzitutto dagli Stati Uniti presieduti da George W. Bush, i quali avevano utilizzato come casus belli il fatto che Saddam Hussein, presidente di un Iraq ormai allo stremo per un embargo durato anni, avrebbe tenuto nascoste armi di distruzioni di massa, per altro mai trovate.Sul fronte interno di Washington a spingere per l’intervento armato erano state le potentissime lobbyes americane degli armamenti e del petrolio, le quali avevano non a caso finanziato l’ascesa al potere dello stesso Bush: le prime potevano così mettere le mani sulla torta di tre miliardi di dollari, tanto è costata – come hanno spiegato Linda Bilmes ed il Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz – al popolo americano l’impresa in Medio Oriente, mentre le seconde potevano garantirsi il controllo del prezzo del petrolio, risorsa venduta in dollari, la cui commercializzazione da parte dell’Iraq, ricchissimo di giacimenti di ottima qualità, avrebbe abbassato di molto i prezzi.Il conflitto iniziò il 20 marzo 2003 sotto forma di ‘lotta al terrorismo’ e vide impiegati dalla parte degli USA e dei suoi alleati 300.000 uomini, sostituiti poi in modo parziale e graduale con mercenari (182.000), militari del Nuovo esercito iracheno (165.000), militari curdi (50.000) e membri della Polizia irachena (227.000) e da quella pro Hussein, 375.000 militari dell’Esercito iracheno, sunniti insorti (60.000), miliziani del Mahdi (60.000), membri dell’Organizzazione Badi (6000) e militanti di al-Qaeda (1.300).Le perdite ammontano ad oggi per la parte della Coalizione a 4.400 soldati USA, 179 inglesi, 139 di altre nazioni, 1.003 mercenari, 7.460 del Nuovo esercito iracheno o della Polizia irachena, mentre per la parte avversaria sono deceduti 10.800 soldati dell’Esercito iracheno e circa 14.000 fra gli insorti.Se l’Iraq di Saddam Hussein, poi catturato e ‘giustiziato’, era caratterizzato da un certo equilibrio fra le diverse etnie e le diverse parti politiche e godeva di un’inconsueta, per l’area, laicità, l’invasione americana ha riportato alla luce antichi dissapori fra le tribù e le confessioni religiose, le quali si sono tradotte in una guerra civile di cui poco si parla, ma che è costata quasi due milioni di morti fra la popolazione civile: non passa giorno senza che non arrivino notizie di attentati e di vittime di scontri.L’impresa americana ha sortito risultati diametralmente opposti a quelli che Washington si era prospettata: l’area mediorientale è oggi assai più destabilizzata di prima, i radicalismi ed i fanatismi sono in forte aumento e soprattutto negli USA si è manifestata una delle crisi economiche più spaventose di sempre, la quale si è riversata per l’effetto domino sulle economie occidentali.Quella che doveva essere una vittoria appare quindi come una sonora sconfitta per gli USA e per i suoi accoliti e non c’è quindi da stupirsi se proprio oggi il presidente Obama, il quale si è dovuto prendere carico della pesante eredità lasciata da Bush, ha annunciato il completo ritiro dei propri soldati dall’Iraq entro la fine dell’anno, lasciando a Bagdad solo 160 militari di presidio alla propria ambasciata.Obama ha fatto sapere che piccoli contingenti di uomini potranno essere inviati su richiesta di Baghdad, ma è palese la situazione confusa e pronta ad esplodere dalla quale i belligeranti americani oggi si ritirano in punta di piedi. Di certo ad Obama ed agli americani avrebbero fatto comodo quei 3 miliardi di dollari, specialmente per il piano di assistenza sanitaria che, per la scarsezza di fondi e per l’intromissioni delle lobbyes delle assicurazioni non è mai arrivato in porto.