Ombre di guerra fredda

di Giovanni Ciprotti 

putin4 fuoriLa tragedia del 13 novembre a Parigi, con i suoi 132 civili massacrati dai terroristi, sembrava aver sortito almeno un effetto positivo, se così si può dire: convincere la comunità internazionale della necessità di creare un ampio e solido fronte anti-Isis. In quella direzione sembravano puntare l’unanime sostegno alla Francia, appellatasi all’art. 47, comma 2 del Trattato della Unione Europea e la Risoluzione 2249 del Consiglio di Sicurezza del’Onu, approvata il 20 novembre, che autorizzava ad intraprendere “tutte le misure necessarie per prevenire e reprimere atti terroristici specificamente commessi dall’Isis”. L’esercito siriano e le fazioni anti-governative che da quattro anni combattono con le armi il regime di Bashar al-Assad avrebbero avuto il sostegno di una coalizione la più ampia possibile, comprendente gli Stati Uniti e la Russia, i Paesi della Unione Europea, buona parte di quelli arabi e l’Iran, analogamente a quanto avvenne nel 1991 in occasione della prima guerra del Golfo.
Purtroppo si rischia di procedere su binari diversi. Troppo divergenti gli interessi in gioco: la Russia vorrebbe evitare l’uscita di scena di al-Assad, reclamata invece a gran voce da Washington, Londra e, anche recentemente, da Parigi; la Turchia vorrebbe evitare che dalla soluzione della crisi siriana scaturisca una sorta di legittimazione internazionale dei curdi che stanno combattendo sia l’Isis sia al-Assad, con la possibilità di una saldatura con l’etnia curda in Turchia e lo spettro della creazione di uno stato curdo a cavallo di Turchia, Siria e Iraq; infine ci sono le politiche ambigue e le sospette contiguità con l’Isis di alcuni stati (sunniti) del Golfo, un intreccio di interessi economici e strategie geopolitiche in funzione anti-sciita.
In questo contesto l’abbattimento del cacciabombardiere russo nei pressi del confine turco-siriano (in conseguenza del quale uno dei due piloti è rimasto ucciso, sembrerebbe per mano di una fazione di ribelli anti-al-Assad che controlla quella porzione di territorio dove il velivolo in fiamme è precipitato e dove i due piloti erano atterrati dopo essersi paracadutati) rappresenta un episodio gravissimo che, al di là delle conseguenze dirette sulle relazioni bilaterali tra Turchia e Russia, potrebbe rendere non più realizzabile la formazione di quella ampia coalizione internazionale necessaria sia per sconfiggere militarmente l’Isis sia per individuare una soluzione politica ragionevole per il governo della Siria dopo la auspicata vittoria militare sulle milizie di al-Baghdadi.
Nella vicenda dell’abbattimento del Sukhoi-24 russo non è ancora chiaro se abbiano ragione i turchi, che hanno denunciato lo sconfinamento del jet di Mosca nello spazio aereo turco, oppure i russi, secondo i quali il loro aereo sarebbe rimasto all’interno dello spazio aereo siriano, dove era impegnato in una delle missioni contro le postazioni dell’Isis. Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica italiana e attuale presidente della Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis) ha dichiarato stamattina in una intervista a RaiNews24 che, secondo le regole di ingaggio Nato, non c’erano le condizioni per autorizzare l’abbattimento del jet russo. A meno che, ha precisato, Ankara non abbia deciso di riappropriarsi della piena sovranità sul proprio spazio aereo, agendo quindi in totale autonomia e non più in quanto membro della Nato (se così fosse sarebbe opportuno, secondo il generale, un chiarimento da parte della Nato).
Comunque siano andate le cose, sembra lecito chiedersi: perché, in questo momento in cui ci si aspetterebbe uno sforzo unitario per concentrare l’impegno sulle milizie di Daesh, uno degli Stati così prossimi allo scenario di guerra, membro della Nato e candidato ad entrare nella Unione Europea, non ha potuto o voluto assumere un atteggiamento più prudente, evitando di reagire ad un presunto comportamento scorretto quale potrebbe essere stato lo sconfinamento del jet russo, penetrato forse per un chilometro e per una manciata di secondi nello spazio aereo turco e palesemente all’interno di una missione che aveva come obiettivo il territorio siriano?
Nei periodi in cui i rapporti tra i Paesi attraversano crisi gravi, si è soliti minimizzare episodi che in condizioni normali farebbero scattare decise azioni diplomatiche o persino militari, come avvenne ad esempio nel 1962 durante la crisi dei missili di Cuba, quando un aereo militare americano che sorvolava i cieli dell’Alaska aveva per errore sconfinato in Siberia: i sovietici in quella occasione si limitarono ad intercettare l’aereo statunitense ed attesero pazientemente che uscisse dallo spazio aereo dell’URSS. Se anche ci fosse stata la violazione dello spazio aereo turco, il Sukhoi-24 non poteva costituire una reale minaccia per Ankara. Si tratta forse di un deliberato atto di provocazione nei confronti di Mosca?
Nei prossimi giorni, quando la cortina fumogena creata dalle prevedibili, veementi dichiarazioni dei due Paesi coinvolti si sarà diradata, sapremo forse quali saranno, se ci saranno, le conseguenze all’abbattimento dell’aereo.
Nel frattempo, tuttavia, è possibile ricordare altri due singolari episodi, apparentemente isolati, avvenuti negli ultimi giorni.
Una settimana fa il presidente ucraino Petro Poroshenko, alla vigilia del suo viaggio ufficiale a Roma, ha messo in guardia l’Unione europea sulle mire russe: ”L’unico obiettivo di Putin è destabilizzare il mondo, dall’Europa alla Siria”. Parole pronunciate da chi aspira ad allontanarsi il più possibile dall’orbita del Cremlino ed aderire alla Unione Europea. Un passaggio osteggiato da Mosca, che negli ultimi 20 anni certo non ha gradito il progressivo processo di allargamento ad est della Nato e della Ue.
Il giorno prima dell’abbattimento del Su-24, Londra ha fatto sapere che da dieci giorni la Gran Bretagna era impegnata nella localizzazione di un sottomarino nucleare russo al largo della Scozia, sospettato di incrociare in quelle acque per carpire informazioni importanti sui sottomarini nucleari Trident britannici. La Royal Air Force non avrebbe potuto localizzare il sottomarino russo autonomamente a causa della dismissione dei mezzi “antisom”, avvenuta qualche anno fa, ed ha quindi chiesto l’intervento della Francia per trovare il sottomarino russo. Il premier britannico Cameron ha annunciato uno stanziamento aggiuntivo di 12 miliardi di sterline in cinque anni per spese militari.
I tre episodi menzionati probabilmente sono indipendenti tra loro. In caso contrario, potrebbero apparire come tasselli di un disegno più ampio volto a delegittimare la Russia di Putin ed allontanarla dalla Unione Europea e quindi dall’occidente. Si potrebbe quasi interpretare come un tentativo di riprodurre quel clima di tensione che all’indomani della Seconda Guerra mondiale portò alla formazione dei blocchi contrapposti e successivamente alla Guerra fredda. Ma allora vorrebbe dire che l’occidente – e l’Unione Europea in primis – ha deciso di attuare una propria strategia in Siria e quindi tenta di scalzare volutamente la Russia dallo scacchiere mediorientale.
Nell’editoriale pubblicato mercoledì sul Corriere della Sera, il professor Sabino Cassese ha ricordato la tesi illustrata da Henry Kissinger nel suo ultimo libro: il “compito di ordine deve essere affrontato a livello «regionale», nelle grandi aree del mondo (l’Europa, l’America del Sud, quella del Nord, il Sud-Est asiatico), dagli organismi sovranazionali della regione, ad esempio, l’Unione Europea”.
Se qualcuno, a Bruxelles, avesse deciso di seguire la strada indicata dallo statista americano, il tentativo di delegittimare Mosca potrebbe avere un senso. Ma l’Europa, divisa come si presenta oggi e per di più priva di forze armate unitarie proprie, dovrebbe agire nel contesto Nato e quindi l’operazione necessiterebbe quanto meno del placet di Washington. Sarebbe come riportare le lancette dell’orologio della storia indietro di ventisei anni, ad un periodo che molti rimpiangono ma che molti altri non vorrebbero più rivivere.
Dal vertice G20 in Turchia, Putin aveva fatto sapere, tramite il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov, che la cooperazione necessaria per risolvere la crisi siriana “è impossibile perché l’Occidente è diviso”.
Stiamo forse assistendo alle prime mosse per ricompattare il fronte occidentale a scapito della Russia?