Partenariato orientale: un successo. Proprio perché non è successo nulla

di Dario Rivolta *-

Rivolta darioMolti giornali hanno definito un fallimento il vertice annuale del Partenariato orientale tenutosi a Riga il 21 e il 22 maggio scorso. Il mio giudizio è esattamente l’opposto: l’incontro è stato un successo proprio perché, paradossalmente, si è deciso poco o nulla.
L’iniziativa cosiddetta di “Partenariato orientale” nacque nel 2009 per la volontà degli allora ministri degli Esteri svedese e polacco (Carl Bildt e Radoslaw Sikorsky- oggi con altri incarichi) e, dopo la guerra di Georgia e di là della giustificazione formale, mirava alla creazione di un’iniziativa europea che facesse da contraltare, e cioè da concorrente, alla politica russa. Nel documento della creazione si disse che l’iniziativa sarebbe stata basata sui comuni valori di libertà, democrazia, rispetto per i diritti umani e dello stato di diritto, ma dei paesi coinvolti, guarda caso, alcuni erano confinanti con l’Unione Europea, mentre tutti lo erano con la Russia e avevano fatto parte dell’Unione Sovietica: Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Armenia, Azerbaigian, e Georgia. Per ottenerne l’adesione, soprattutto di Ucraina, Moldavia e Georgia, si promisero forti aiuti economici e un possibile futuro ingresso nell’Unione Europea.
Oggi si sostiene che la nascita di quel partenariato non fu, e non è, un’azione “contro”, ma è evidente che la vera ragione di quell’iniziativa derivava dalla condivisione del desiderio statunitense di “contenere” la Russia.
Naturalmente è legittimo che ogni stato si preoccupi della situazione di salute economica, politica e sociale dei Paesi confinanti, e l’Europa non fa eccezione. La ragion politica però vuole che ogni azione intrapresa debba tener conto della situazione reale del luogo in cui si agisce e, nel caso specifico, già allora era noto che la Russia considerava quei paesi come una propria “zona d’influenza” e oggetto di un’area comune di libero scambio già in costruzione. Era quindi naturale che, alla fine, l’incompatibilità delle due strategie si sia evidenziata.
Il casus belli è scoppiato a Vilnius lo scorso anno quando, all’ultimo momento, il governo ucraino decise di non presentarsi all’incontro del Partenariato rinunciando così ad ogni progetto comune con Bruxelles. Poiché partecipare contemporaneamente a due diversi regimi doganali è impossibile, l’Ucraina fece la scelta più logica e cioè di restare vicina al mercato più importante per la propria economia di allora: la Russia. Da lì, a cascata, la stizzita reazione di alcuni paesi europei, l’aiuto ai manifestanti di Maidan e la terribile crisi ancora in atto.
E’ considerando quanto sopra che diventa un vero successo il fatto che a Riga non si sia concluso pressoché nulla. Anzi, finalmente la cancelliera Merkel è stata netta nel dire che il partenariato “non è uno strumento di politica di allargamento dell’Unione Europea” e il suo ministro degli Esteri Steinmeier ha rincarato la dose aggiungendo che di un eventuale ingresso di Ucraina nell’Unione non se ne potrà parlare per almeno un po’ di generazioni. Altresì, è stato scongiurato il rischio che per i cinquanta milioni di abitanti ucraini e per qualche milione di georgiani potesse aprirsi la possibilità di venire in Europa senza più nemmeno il bisogno di un visto. Vi immaginate la marea, soprattutto di ucraini, che, senza la necessità di visti d’ingresso, avrebbero lasciato il proprio paese per cercare fortuna da noi?
E’ un bene per l’Europa che si dica in maniera chiara che le porte di accesso all’Unione sono, almeno per ora, chiuse. Fu un errore, oggi lo possiamo dire con certezza, procedere all’allargamento a ventotto dell’Unione Europea prima di realizzare il necessario “approfondimento” delle istituzioni comunitarie: le paralisi e i disaccordi di oggi lo dimostrano. Pensare a nuovi ingressi, o addirittura sollecitarli, sarebbe puro masochismo e porterebbe senza dubbio a una sempre maggiore inefficienza politica ed economica, con gaudio di chi teme un’Europa forte sul piano internazionale.
Chi ancora pensa che il Partenariato orientale sia importante per noi almeno dal punto di vista economico dovrebbe leggere i dati diffusi recentemente da Eurostat: il totale degli scambi nel 2014 tra l’Europa e tutti i sei paesi ha raggiunto solamente i 32 miliardi di euro. All’interno di questa cifra è però interessante notare che i maggiori esportatori sono (guarda caso) la solita Germania con sette miliardi e la Polonia con 5,2 miliardi, mentre l’Italia vi esporta meno di tre miliardi e importa merci per 8,2, creando così un deficit commerciale di più di 5 miliardi. Vi sembra conveniente?
Se qualcuno nutre ancora dei dubbi pensi allora a quanti euro sono già stati “donati” a questi paesi e a quelli nuovi promessi proprio a Riga (un miliardo e ottocentomila euro alla sola Ucraina, che vanno ad aggiungersi a quelli già erogati in precedenza) e li confronti con l’atteggiamento che stiamo tenendo con la Grecia, paese membro, o con i disoccupati di Spagna, Portogallo e della nostra stessa Italia. Vi sembra giusto?
Ecco dunque il successo di Riga: una frenata, seppur parziale. Ma, in cuor nostro, speriamo proprio che sia l’inizio della chiusura di un’iniziativa che per l’Europa ha portato, e porta, solo svantaggi, costi e nuove ostilità con chi, invece, sarebbe a noi molto più utile, anche se più lontano.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.