Proteste in Iran: vivere e morire nella terra degli ayatollah. Su Ng il caso di Saru

di Enrico Oliari

L’Iran, con le sue proteste per il caro-vita e con i suoi ayatollah sembra lontano anni luce, nel tempo e nello spazio. Toccare tuttavia con mano il dramma della dura repressione messa in atto in questi giorni dalle autorità governative e dai “pasdaran” (Guardiani della Rivoluzione) non è difficile, ed è una famiglia curdo-iraniana di profughi politici a raccontare a Notizie Geopolitiche quanto accaduto al nipote, il 24enne Saru Gharemani, poco più di una decina di giorni fa. I fatti si sono svolti nella città di Sanandaj, neanche 380mila anime nel Kurdistan iraniano, uno dei tanti centri in cui si sono svolte le composite manifestazioni di capodanno, spontanee contro il carovita o organizzate dai conservatori contro il governo riformista a seconda della realtà locale.
Saru aveva preso parte alle manifestazioni – racconta la zia ormai italiana al nostro giornale -, ma non faceva parte di partiti politici o di movimenti particolari, protestava per il caro-vita, per la disoccupazione, contro la corruzione e per i diritti dei curdi, nulla di più. Non possedeva armi, era un giovane come tanti, tranquillo e senza grilli per la testa. Una sera, erano i primi di gennaio, non era rientrato a casa, e i genitori lo avevano cercato ovunque, all’ospedale, alla polizia, ma non era stato trovato. Avevano presentato denuncia di scomparsa, ma niente, di Saru non c’era traccia”. ” Poi – continua la zia – due sere fa a casa di mia sorella si sono presentati due uomini dei sevizi segreti per chiedere di andare a recuperare il cadavere di Saru presso la loro caserma. Lo shock e la paura hanno impedito ai miei parenti di seguire i due uomini in caserma, per cui i due agenti sono tornati nella tarda mattinata del giorno dopo ed hanno ordinato ai genitori di vestirsi e di seguirli. Giunti in caserma hanno trovato il cadavere congelato, tumefazioni evidenti ovunque. Un altro shock. Poi gli agenti dei servizi segreti hanno imposto il silenzio minacciando arresti e ritorsioni, e addirittura hanno intimato di non fare il funerale: avevano già preparato una tomba nel cimitero centrale della città, per far presto a seppellire la salma, senza veglia funebre”.
Nella Repubblica degli ayatollah si muore per una protesta contro il caro-vita, e si sparisce nel silenzio senza neppure il diritto ad un funerale. Evidentemente commossa la zia riprende il racconto: “I genitori hanno chiesto un certificato di morte da presentare al comune, ma si sono sentiti rispondere che non c’è nessun certificato, che faranno tutto loro, i servizi segreti”. E, come se non bastasse, oggi il governatore di Sanandaj, Ibrahim Zarei, ha comunicato che Saru Gharemani è stato ucciso in un conflitto a fuoco. “Ma che conflitto a fuoco – interviene lo zio -, Saru non aveva armi, come nessuno ha parlato di combattimenti durante le manifestazioni. Inoltre il cadavere non aveva segni di proiettili, bensì era viola per i lividi, segno evidente di pestaggi e torture. Se fosse stato ucciso in un conflitto a fuoco, perché ci sono voluti 11 giorni per far avere la salma? Perché non è stato emesso un certificato medico? Quella del conflitto a fuoco è una scusante, perché nessuno si indigna se uno che spara viene ucciso” .
Il caso di Saru è isolato o ve ne sono altri? “Durante le manifestazioni vi sono stati 4.200 arresti e circa 24 morti negli scontri di piazza. Si ha però notizia di altre quattro persone che hanno fatto la fine di Saru, la versione ufficiale è stata quella del suicidio. Però nel caso di Saru è più facile per le autorità attribuire il fatto ad un conflitto armato, perché di mezzo c’è la questione curda”.