di Gianluca Vivacqua –
Berlusconi, per se stesso e per le sue campagne elettorali, fu un formidabile creatore di slogan, e anche il berlusconismo come fenomeno è stato etichettato in tutti i modi possibili. Sono poche però le formule che entrano davvero nel merito della politica berlusconiana: per esempio in quella estera, un capitolo che merita di essere analizzato con più attenzione. Cerchiamo di farlo oggi con Cosimo Risi, diplomatico di lungo corso e docente di Relazioni internazionali e Politiche europee.
– Ambasciatore, le colonne della politica estera berlusconiana sono filoatlantismo, filoisraelismo e rapporti privilegiati con gli uomini forti eurasiatici e del Mediterraneo (l’orticello delle amicizie berlusconiane). È d’accordo?
“Il filoamericanismo (e quindi il filoatlantismo) di Berlusconi si fonda sull’ottimo rapporto personale che ebbe con alcuni presidenti americani, in primis Bush jr., assai vicino alle sue corde politiche in quanto repubblicano. La sua amicizia nei confronti di Bush, Berlusconi la dimostra aderendo prontamente al progetto della “coalizione dei volenterosi” per rovesciare il regime di Saddam Hussein in Iraq. Il filoisraelismo è, in un certo senso, una conseguenza del filoamericanismo, ma non si può neppure negare una sostanziale affinità politica di Berlusconi con alcune figure di leader israeliani come, per esempio, Netanyahu. Altro grande amico di Berlusconi fu Putin: fu proprio tentando di far valere la sua amicizia che il leader di Forza Italia provò, disperatamente, a cercare una mediazione col presidente russo all’inizio della guerra ucraina“.
– Chi è stato, secondo lei, il vero ispiratore della politica estera italiana ai tempi di Berlusconi? Qual è il titolare della Farnesina berlusconiano che pensa abbia lasciato l’impronta maggiore nella storia della politica estera italiana?
“Mi verrebbe da dire che il maggiore protagonista della politica estera berlusconiana fu… Berlusconi stesso, ebbe per molto tempo, all’inizio del primo decennio del nuovo secolo, l’interim della Farnesina. Nessuna deriva autocratica, naturalmente: anzi, quella del capo del governo di accentrare su di sé le responsabilità fondamentali della politica estera è una tendenza che, dal trattato di Lisbona in poi, è diventata in Europa una prassi consolidata. Tra i ministri che si sono succeduti alla guida del dicastero degli Esteri in epoca berlusconiana il più longevo, dopo lo stesso presidente del Consiglio, fu lo sfortunato Frattini”.
– Che cosa ha rappresentato davvero Pratica di Mare?
“Pratica di Mare fu un momento, nella “meteorologia” della politica internazionale, irripetibile e non ripetuto. C’era Putin che cercava una sponda in Europa e in Occidente perché la sua Russia all’interno era ingovernabile. Berlusconi, che poteva vantare ottimi rapporti sia con Bush sia col presidente russo, colse la palla al balzo per un’epocale iniziativa di distensione post-guerra fredda e, in quella base laziale, portò Russia e Nato a formare un partenariato per la pace. Poteva essere la premessa – e la promessa – di una progressiva integrazione della Russia post-sovietica nell’orbita Nato, se Berlusconi fosse riuscito anche a compiere il miracolo di mantenere inalterata nel tempo la fiducia tra le due parti“.