Salvador. Comandano le “maras”: è guerra con Salvador Sanches Ceren. Ma sono anche in Italia

di Enrico Oliari

Mara salvatrucha grandeDurante dell’Angelus di oggi papa Francesco si è voluto soffermare sulla grave situazione di San Salvador “dove – ha spiegato il pontefice – negli ultimi tempi si sono aggravati i disagi della popolazione a causa della carestia, della crisi economica, di acuti contrasti sociali e della crescente violenza”. “Incoraggio il caro popolo salvadoregno – ha detto – a perseverare unito nella speranza, ed esorto tutti a pregare affinché nella terra del beato Oscar Romero rifioriscano la giustizia e la pace”.
La realtà di El Salvador è piuttosto grave, poiché la decisione del presidente Salvador Sanches Ceren di intervenire con mano ferma contro le bande criminali, che rappresentano ormai una sorta di soggetto politico, si sta concretizzando sempre più in una nuova guerra civile, basti pensare che sono già oltre 3mila i morti dall’inizio dell’anno e che solo in maggio sono state uccise una ventina di persone al giorno.
Il mese scorso le “maras” (o “pandillas”), cioè le bande armate, hanno imposto nella capitale uno sciopero dei mezzi pubblici per rispondere all’intransigenza del governo: almeno dieci fra conducenti e dipendenti delle aziende di trasporto pubblico che si sono rifiutati di scioperare sono stati barbaramente uccisi, come pure sono rimasti chiusi i negozi della città. Tensioni vi sono state anche per l’iniziativa di inviare dei camioncini sostitutivi e comunque insufficienti per far fronte alla mole di pendolari, e come se non bastasse il biglietto del trasporto è pure quadruplicato. L’ultimo omicidio è di questa mattina: un poliziotto, il 41mo dall’inizio dell’anno, è stato assassinato da due malviventi al confine con l’Honduras.
Il messaggio delle bande criminali è evidente: a El Salvador comandano loro, non il governo. Anche perché su tutto c’è il pizzo, compreso sui trasporti pubblici.
Le “maras” si sono formate fra i giovani salvadoregni in fuga a Los Angeles per la guerra civile (1980 – 1992, 80mila morti), i quali sono stati rimpatriati dagli Usa a fine conflitto, o si sono spinti in altri paesi dell’America Latina.
Fra i provvedimenti più contestati dalle bande criminali vi è la decisione del governo di riportare alcuni boss della malavita nelle carceri di massima sicurezza, dopo che nel 2012 il governo presieduto da Mauricio Funes aveva, in chiave di tregua, loro concesso di essere detenuto in carceri vicino alle famiglie, la possibilità di vedere le mogli e soprattutto di tenere un telefono in cella.
Il presidente Sanches Ceren, già leader dei guerriglieri del Fronte Farabundo Marti per la liberazione nazionale (Fmln), è stato tuttavia irremovibile: “Non negozieremo con i criminali, li perseguiremo fino a portarli in carcere”, ha affermato, accusando l’opposizione di centrodestra di sobillare i disordini.
Sono 60mila gli aderenti alle “maras”, e altri 10mila sono in carcere per i più svariati motivi. Un dato allarmante, se si pensa che le gang si trovano soprattutto nella capitale, che conta 1.3 milioni di abitanti, e che la popolazione dell’intera nazione è di 6.2 milioni di salvadoregni.
Le principali “maras” sono il Barrio 18 e la Mara Salvatrucha (detta anche Ms 13), entrambe con ramificazioni internazionali di giovani dediti spesso alla micro delinquenza; nel giugno 2013 a Milano sono state emesse 25 ordinanze di custodia cautelare per giovani latini appartenenti alla Mara Salvatrucha, che spesso si scontravano con altri anche a colpi di machete, o che aggredivano i passanti per rapinarli, o che più semplicemente li scippavano.
Apparterrebbero alla Mara Salvatrucha i due 20enni che lo scorso 11 giugno hanno aggredito con un machete due ferrovieri alla stazione Villapizzone Milano, fermati perché sprovvisti di biglietto.