Senegal. Groviglio politico e vie d’uscita

di Francesco Giappichini

Come sarà sciolto il groviglio politico e giuridico che paralizza il Senegal, per decenni modello di democrazia africana? Perché il presidente Macky Sall, dopo aver pretestuosamente fatto arrestare gli oppositori, ha rinviato le elezioni presidenziali del 25 febbraio? I due blocchi sociali che si dividono l’elettorato, potranno mai accordarsi per uscire dall’impasse? In altri termini, le élite filo-occidentali al potere, ovvero un establishment sostenuto dalle forze armate (oltre che da Parigi), potranno venire a patti con quel movimento patriottico e anti-sistema guidato dal leader populista e panafricanista, Ousmane Sonko? Facciamo, per quanto possibile, chiarezza.
Il 26 e il 27 febbraio, su impulso del capo dello stato, si sono svolte delle «consultation nationale», affidate a due commissioni. Un evento che è stato sì boicottato da gran parte dell’opposizione, ma le cui conclusioni saranno verosimilmente adottate dalla Presidenza (cui saranno trasmesse il 4 marzo), e segneranno il futuro del Paese. In primis è stata proposta la data del 2 giugno, per la celebrazione delle tanto attese elezioni. In secondo luogo, si chiede che il presidente uscente s’insedi ad interim alla fine del mandato, il 2 aprile: una sorta di prorogatio, resa necessaria dalla supposta impossibilità di celebrare prima quell’evento elettorale.
In terzo luogo si dispone la riapertura del dossier candidature: via libera insomma a quella «révision de la liste des candidats», che consentirà di candidarsi anche alle personalità politiche in precedenza escluse. E ogni riferimento va all’ex ministro Karim Wade, il figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade. E il suo è un ruolo centrale, per comprendere la strategia di Sall: la cupola al potere punta a coinvolgerlo, nonostante stia flirtando con l’opposizione, al fine di contrastare quel vento anti-establishment che sa bene rappresentare l’outsider Sonko. Anzi, l’esclusione della candidatura di Wade (che non aveva fatto in tempo a rinunciare alla cittadinanza francese) è stato forse il motivo principale del tanto contestato rinvio elettorale.
Il candidato presidenziale e primo ministro, Amadou Ba, appare, infatti, sempre più come un grigio tecnocrate, privo di qualsiasi appeal sull’elettorato; cosicché il presidente, ormai rassegnato al secondo turno, ha la necessità di attrarre nuovi pacchetti elettorali clientelari, per l’eventuale ballottaggio. In quarto luogo, Sall ha fatto approvare dal governo un progetto di amnistia, in certa misura (e segretamente) concordato con l’opposizione: riguarda i reati commessi nel corso delle manifestazioni politiche, svoltesi tra il 2021 e il 2024, e mira a limitare nuove proteste di piazza dagli esiti imprevedibili. Il provvedimento beneficerebbe sia Sonko, che però allo stato non può candidarsi poiché condannato per diffamazione, sia Bassirou Diomaye Faye: per alcuni il braccio destro di Sonko, per altri il suo clone. E Diomaye Faye, segretario generale del partito Pastef (Patriotes africains du Sénégal pour le travail, l’éthique et la fraternité) che peraltro le autorità di Dakar hanno sciolto, si trova sì in carcere per reati politici; e tuttavia si è potuto candidare, poiché non ancora condannato. Così Sall è ormai consapevole che può sì piegare il potere giudiziario, ma non certo spezzarlo; e nell’attesa dello scontro con l’ex Pastef, sempre più popolare tra giovani, disoccupati e classi meno abbienti, cerca nuove alleanze, e valuta anche un cambio in corsa del proprio candidato.