Sicurezza e sovranità alimentare sulle Ande

di Mario Mancini –

Mondohonline – La crescita del PIL del Perú nell’ultimo decennio non si può spiegare, tra le varie ragioni di ordine politico, economico, sociale, istituzionale, senza il ruolo fondamentale del settore minerario e degli idrocarburi. La presenza di grandi risorse naturali non rinnovabili, gli alti prezzi nei mercati internazionali dei minerali prodotti nel paese, il quadro normativo favorevole all’investimento di capitali esteri, l’impegno dei successivi governi a garantire anche con la forza l’ordine pubblico, una politica monetaria ed economica aperta all’entrata e uscita di capitali, sono solo alcuni degli elementi che hanno favorito il boom minerario. L’esito di tutto ció è stata una crescita geometrica delle riserve valutarie in dollari, la generazione e distribuzione di royalties e di ingenti capitali per l’investimento nelle zone di produzione e per il finanziamento di programmi sociali e infrastruttura di base, la messa in circolazione nel sistema economico di enormi capitali generando servizi, anche immobiliari, nelle zone urbane della costa principalmente…e diversi punti del PIL. Tuttavia, all’interno del grande movimento critico all’attività mineraria, che ha causato centinaia di morti negli ultimi 5 anni, nel corso di proteste e altri tipi di conflitto, poca attenzione è stata diretta al tema delle conseguenze del modello estrattivo alla sicurezza alimentare. La grande maggioranza delle comunità rurali colpite dall’impatto dell’attività mineraria, in particolare in Amazzonia e nella cordigliera andina, è fermamente decisa a difendere i propri mezzi di vita, che sono strettamente legati alla produzione agricola per la sussistenza e l’autoconsumo.
Si tratta di comunità escluse dai circuiti commerciali, generalmente classificate con alti indici di povertà, che sopravvivono grazie a un sistema di produzione famigliare, con un alto grado di biodiversità, che è possibile solo a partire di determinate condizioni: culturali – conoscenze ancestrali sul patrimonio genetico e le tecnologie agricole – , ambientali – accesso a risorse suolo e acqua, clima, equilibrio ecologico -, sociali – ruoli comunitari, organizzazione, sistemi di proprietà e reciprocità – ed economiche – capacità di commercio e scambio su mercati locali -. Molti studi recenti sulla denutrizione cronica infantile dimostrano che la agro-biodiversità e l’autoconsumo non assicurano automaticamente una migliore nutrizione; al contrario, la ridotta produzione per varietà di elementi nutritivi provoca uno sbilanciamento alimentare, poco compensata dall’assunzione di altri alimenti per un dieta bilanciata. Tuttavia, risulta evidente che la condizione di isolamento e la povertà in termini monetari sono in realtà la causa principale del fenomeno della denutrizione.  Nel mondo preispanico il sistema produttivo andino era basato sull’interconnessione tra i denominati piani ecologici, distribuiti nelle diverse regioni naturali – chala, yunga, quechua, suni, puna, janca, rupa rupa, omagua  -, dove a ogni livelli di altitudine corrispondeva e corrisponde una produzione e coltivazione diversa. (cfr: John Murra, Formaciones económicas y políticas del mundo andino, 1975).
In questo sistema l’alimentazione era assicurata attraverso la circolazione di differenti prodotti agricoli, originari da ognuno dei piani ecologici, a seconda delle epoche dell’anno esisteva una ricchezza di dieta alimentaria per tutta la popolazione. Con la conquista, con la rottura del sistema produttivo andino la funzione commerciale nelle regole del mercato è diventata la principale modalità (principale, perché permangono diverse forme ancestrali di scambio) di circolazione dei prodotti, anche e soprattutto agricoli. In questo nuovo sistema le comunità non connesse al mercato sono isolate da un punto di vista produttivo, e quindi consumano solo ciò che producono, nel loro piano ecologico, che in genere è poco ma soprattutto poco vario. Un ecosistema complesso che funziona ed è ricco solo in termini articolati e interconnessi, ma povero se considerato in modo separato.
Ma cosa c’entra l’attività estrattiva in questa considerazione? Analizzando bene la mappa delle attività minerarie si scopre che essa si sovrappone a quella della povertà, perché avviene in termini maggioritari nelle zone più povere ed isolate del paese, e dove l’equilibrio ecosistemico è più fragile: laddove esiste una miniera, molto probabilmente, e le statistiche lo confermano, esistono comunità rurali isolate, povere e denutrite.
In paesi come il Perú, con le caratteristiche segnalate, cioé dove à ancora molto diffusa l’agricoltura famigliare e basato su un enorme patrimonio genetico, il modello estrattivo costituisce una minaccia alla sicurezza alimentare, nella dimensione nazionale e nella dimensione locale e comunitaria, per due ragioni principali: le denominate passività ambientali dell’attività mineraria (detriti, rifiuti tossici, uso spoporzionato di acqua, sviamento di corsi d’acqua, uso di terreni, disboscamento, perdita di fauna, eccetera) nel breve e lungo periodo costituiscono una minaccia gravissima alla capacità produttiva agricola delle comunità, degli interi bacini e valli dell’area di influenza, che in Perú attraversano diverse regioni naturali e giurisdizioni amministrative; lo squilibrio del modello produttivo nazionale, che privilegia l’investimento orientato allo sfruttamento delle risorse naturali non rinnovabili, delle materie prime per l’esportazione, sottrae capitali per il potenziamento del sistema agricolo nazionale destinato al consumo interno, cioé quello direttamente legato all’alimentazione della popolazione.
Il problema della sicurezza alimentare, che riguarda ancora oggi più del 20% della popolazione di almeno 10 regioni, con punte superiori in comunità più povere e isolate delle Ande e dell’Amazzonia, non si può risolvere con l’importazione di alimenti a basso costo; questa soluzione non fa che aumentare la dipendenza commerciale e ridurre enormemente le capacità nazionali per garantire un’alimentazione sana e sostenibile, cioé collegata alla capacità produttiva nazionale. In un modello economico basato sull’estrattivismo il rischio maggiore è quello di sacrificare l’agricoltura famigliare sull’altare della crescita economica.