di Giuseppe Gagliano –
La recente disputa emersa nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tra il Sudan e gli Emirati Arabi Uniti (EAU) evidenzia una delle questioni più controverse nell’attuale conflitto sudanese. Il governo sudanese ha accusato gli EAU di fornire sostegno alle Forze di Supporto Rapido (RSF), che stanno combattendo contro l’esercito sudanese, affermando di aver trovato passaporti emiratini in possesso delle RSF durante operazioni a Khartoum. Queste accuse, secondo il Sudan, dimostrerebbero un coinvolgimento diretto degli EAU nel conflitto, contribuendo a destabilizzare ulteriormente il paese e aggravando la già drammatica situazione umanitaria.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno categoricamente respinto tali accuse, definendole “ridicole” e sottolineando che il loro impegno in Sudan è esclusivamente umanitario, con un focus sul supporto alla popolazione colpita dalla guerra. Hanno inoltre ribadito che qualsiasi tentativo di incolparli per la crisi in Sudan è un tentativo del governo sudanese di distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità nel conflitto. La disputa tra i due paesi ha messo in luce le complesse dinamiche geopolitiche che caratterizzano il conflitto sudanese, con numerosi attori esterni coinvolti che perseguono interessi propri nella regione.
L’intervento degli EAU in Sudan, che Khartoum descrive come una forma di “sponsorizzazione del terrorismo,” sottolinea le profonde divisioni internazionali riguardo alla gestione del conflitto. Il rappresentante sudanese al Consiglio di Sicurezza ha infatti chiesto apertamente che gli EAU siano condannati per il loro presunto coinvolgimento, sostenendo che la loro interferenza stia contribuendo alla trasformazione del Sudan in un “insediamento distruttivo,” dove milioni di persone sono costrette a dipendere dagli aiuti umanitari per sopravvivere.
La risposta emiratina, invece, ha enfatizzato il contributo di 70 milioni di dollari forniti in aiuti umanitari tramite partner chiave e le Nazioni Unite, insistendo che la soluzione al conflitto non può essere trovata sul campo di battaglia, ma solo attraverso il dialogo e una transizione verso un governo civile. Gli Emirati hanno anche criticato le accuse sudanesi come un tentativo di distrarre dalla reale necessità di un processo politico credibile che possa portare pace e giustizia al popolo sudanese.
Questa disputa riflette le più ampie tensioni internazionali riguardo al conflitto in Sudan, dove attori come gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita, la Russia e l’Unione Europea cercano di mediare una soluzione mentre si confrontano con le complesse realtà sul campo. La presenza di armi sofisticate in Sudan, che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza ritengono alimentata da attori esterni, complica ulteriormente gli sforzi per raggiungere un cessate il fuoco duraturo. Il conflitto ha già portato alla morte di migliaia di persone, sfollato milioni di sudanesi e creato una delle peggiori crisi umanitarie del mondo, con un imminente rischio di carestia che minaccia milioni di vite.
Il ruolo degli EAU nel conflitto sudanese è quindi al centro di un dibattito più ampio sulla responsabilità internazionale e sull’influenza degli attori esterni nei conflitti locali. Mentre alcuni paesi, come la Francia e il Regno Unito, hanno chiesto la fine di qualsiasi sostegno esterno alle parti in guerra, altri, come la Russia e la Cina, hanno avvertito contro l’uso della crisi umanitaria come pretesto per l’intervento negli affari interni del Sudan. Questa divergenza di opinioni nel Consiglio di Sicurezza riflette le sfide globali nel bilanciare il rispetto della sovranità nazionale con la necessità di intervenire per proteggere i civili e garantire la stabilità regionale.
La risoluzione di queste tensioni sarà cruciale per il futuro del Sudan e per la capacità della comunità internazionale di prevenire ulteriori escalation in una regione già estremamente volatile. Nel frattempo, la popolazione sudanese continua a soffrire le conseguenze di un conflitto che appare lontano dalla sua conclusione, con un urgente bisogno di assistenza umanitaria e di un impegno concertato per porre fine alle ostilità.