Turchia. Continua il crollo della lira. Erdogan parla di ‘complotto’, ma il responsabile è lui

di Guido Keller –

Per il presidente – padrone della Turchia Recep Tayyp Erdogan non ci sono dubbi: il crollo inarrestabile della lira è dovuto ad “un complotto politico contro la Turchia, ma i turchi non si arrenderanno”. Fatto sta che la moneta turca è in caduta libera ormai da giorni e sta trascinando con sé le economie di mezzo pianeta, con lo spread italiano che è schizzato a 278 punti sul Bund tedesco. Al momento per acquistare un dollaro ci vogliono 7 lire turche, ma a far tremare i mercati europei sono le esposizioni bancarie, e quella italiana è di 16,9 miliardi di dollari, quella spagnola di 71 miliardi, quella francese di 33 miliardi, quella britannica di 16,5 miliardi, quella statunitense di 15,6 miliardi e quella tedesca di 14,8 miliardi. Unicredit in particolare è proprietaria del 38% della quarta banca turca (Tofas), ma l’esposizione complessiva delle banche internazionali verso la Turchia è pari a 264,9 miliardi di dollari.
Un situazione drammatica a cui il governo turco sta tentando di rispondere iniettando liquidità a tutta fretta, perché non bastano le parole di Erdogan per il quale “loro hanno i dollari, noi abbiamo Allah”: il ministro delle Finanze, Berat Albayrak, ha fatto sapere che nell’economia si inietteranno 10 miliardi di lire turche e una liquidità in oro per un controvalore di 3 miliardi di dollari. Per non spaventare ulteriormente gli investitori e i risparmiatori Albayrak, che è genero di Erdogan, ha garantito che non verranno convertiti o trattenuti i depositi in valuta estera, bensì “opereremo attraverso le nostre banche e il sistema di sorveglianza bancaria in modo rapido”.
Intanto nel paese è caccia agli “untori”, cioè ai “disfattisti” che su Facebook e sui social parlano male dell’economia del paese, per cui vengono annunciati arresti e controlli. La procura di Istanbul ha aperto un’indagine specifica su individui sospettati di essere coinvolti in azioni che “minacciano la sicurezza economica della Turchia”.
Erdogan continua invece a puntare il dito contro Washington, colpevole di aver “aumentato i dazi su acciaio e alluminio” e di aver introdotto “ingiustificate” sanzioni, in realtà rivolte solo contro Suleyman Soylu, ministro dell’Interno, e Abdulhamit Gul, ministro della Giustizia, “titolari – è stato spiegato dal dipartimento di Stato Usa – dei dicasteri maggiormente responsabili delle gravi violazioni dei diritti umani avvenute finora in Turchia”. Il caso riguarda l’arresto (ora ai domiciliari) del pastore evangelico Andrew Brunson, accusato di cospirazione e terrorismo per aver avuto all’indomani del fallito golpe (presunto o vero che sia stato) del 15 luglio 2016 contatti con il Pkk e con seguaci dell’imam Fethullah Gulen, ritenuto dal regime di Erdogan essere la mente della presunta azione eversiva. E’ evidente che il proposito di Erdogan era quello di ricattare gli Usa per la mancata estradizione del ricco imam Fethullah Gulen, ritenuto da Erdogan essere la mente ispiratrice del golpe del 2016.
Ben poco per spiegare il tracollo che sta avvenendo in Turchia. La verità è che la linea politica interna ed internazionale del “sultano” turco non sta pagando, ed il paese che lui vorrebbe a cavallo fra i due mondi si sa in realtà isolando sempre più. Ieri ha rivolto una minaccia agli Usa, “potremmo salutare coloro che sacrificano la loro partnership strategica con un Paese da 81 milioni di persone e un alleanza di oltre 50 anni per legami con gruppi terroristici”, ma resta da capire come sia possibile che un alleato Nato acquisti armi ed armamenti in Russia, gli S-400, ed abbia sempre con Mosca importanti contratti industriali, come la costruzione di una centrale nucleare di Akkuyu e del gasdotto “Turkish Stream”. Quando parla di terroristi Erdogan si riferisce al supporto militare ai curdo-siriani dell’Ypg, per intenderci quelli che hanno fermato l’Isis a Kobane e liberato la parte nord-orientale della Siria, mentre lui per anni ha lasciato transitare dagli aeroporti turchi decine di migliaia di foreign fighters, armi e beni dalle frontiere dirette allo Stato Islamico, e comprato dai jihadisti del “Califfo” petrolio. La Turchia di oggi vede intellettuali, magistrati, diplomatici, deputati, insegnanti e militari in carcere, giornali dell’opposizione sequestrati, centinaia di migliaia di dipendenti pubblici licenziati per sospetto gulenismo (fedeli cioè): si tratta di un quadro politico tutt’altro che trascurabile, di cui il crollo della moneta potrebbe essere solo l’effetto macroscopico.
Ed Erdogan, che ha trasformato il paese in una repubblica presidenziale accentrando bene o male su di sé i poteri, si trova ad essere il solo ed unico responsabile del disastro.