Ucraina: una bomba pronta ad esplodere

di Marco Corno

Nelle ultime due settimane gli scontri a bassa intensità tra l’esercito ucraino e i separatisti filo russi della regione del Donbass hanno fatto presagire l’inizio di una nuova guerra in Ucraina che questa volta ha rischiato di essere più pericolosa e devastante di quella precedente (2013-2015) quando la proxy war tra Russia e USA è rimasta strettamente circoscritta all’Europa Orientale.
In questi sette anni i rapidi mutamenti geopolitici a livello mondiale, accelerati dalla pandemia di Covid-19, rendono l’attuale contesa per l’Ucraina cruciale per il balance of power dell’ordine internazionale.

La caduta degli Imperi Centrali (impero austro-ungaeuroparico, impero zarista e impero tedesco) a seguito del Primo Conflitto Mondiale (1914-1918) hanno creato un vuoto geopolitico nell’Europa dell’est che diverse potenze regionali e non nel corso dei decenni successivi hanno cercato di colmare attraverso il controllo dell’Ucraina.
Nel 1919 scoppiò la guerra russo-polacca (durata fino al 1921) quando la riunificata Polonia, sotto la guida del generale Pilsudski, attaccò l’Unione Sovietica nel tentativo di creare un grande stato cuscinetto polacco-ucraino esteso dal Mar Baltico al Mar Nero per impedire la diffusione del comunismo in Europa. Da allora l’Ucraina è diventato uno stato geostrategico, non più saldamente parte della Russia, che cambia drasticamente gli equilibri europei e la posizione geopolitica di chi lo controlla. Il crollo dell’URSS nel 1991 ha riportato al centro dello scacchiere internazionale, dopo la parantesi storica della Guerra Fredda, il dominio del cosiddetto “blocco Mar Baltico-Mar Nero” che ha conosciuto progressivamente un’“occidentalizzazione” con l’allargamento della NATO a est ai danni della Russia, incapace in questa prima fase del XXI secolo di recuperare i territori persi nel secolo scorso.
Le crisi ucraine degli ultimi decenni si inseriscono all’interno di questo excursus storico che al giorno d’oggi vedono contrapposti gli Stati Uniti e la Russia.

Per Washington il controllo di Kiev significherebbe il dominus sull’intero continente europeo e la possibilità di posizionare truppe americane ai confini russi, esercitando una pressione tale da costringere Mosca a stipulare un’alleanza al ribasso in funzione anti-cinese.
Per Mosca al contrario il controllo di Kiev bloccherebbe l’espansione della NATO a est, permettendole di acuire il proprio status geopolitico in Europa che porterebbe inevitabilmente Putin a rafforzare l’asse Parigi-Berlino-Mosca, già in corso di formazione con la costruzione del gasdotto Nord Stream II, e di contenere le velleità imperiali della Turchia nel Mar Nero grazie alla sovranità russa sulla Crimea, limes storico di confronto tra la civiltà russo-ortodossa e turco-mussulmana e area pivot per l’egemonia nel Mar Nero.
Il coinvolgimento della Turchia nel rebus ucraino rende la situazione ancora più incandescente dato che Ankara ha tutto l’interesse a fomentare una guerra in funzione anti-russa forte anche del tacito placet regio americano, entusiasta di vedere l’emergere di antiche revanche tra due ex imperi che più volte nella storia si sono scontrati in queste acque. La vendita dei micidiali droni turchi Bayraktar TB2 al governo di Kiev è il pretesto per entrare nella partita ucraina da parte di Erdogan che vuole porsi come un attore fondamentale nel contenimento della Russia nella Mitteleuropa ottenendo in cambio dagli Stati Uniti e dai paesi europei il riconoscimento del ruolo di potenza regionale.

La concentrazione di interessi così vitali delle parti coinvolte rende il dossier ucraino difficile da risolvere solamente attraverso l’utilizzo della diplomazia perché il principio do ut des è difficilmente applicabile (l’espulsione di diplomatici da ambo le parti sono un segnale preoccupante dell’importanza della posta in gioco). Il rischio maggiore non è solamente l’inizio di una nuova guerra civile tra esercito ucraino e separatisi filo-russi ma di una vera e propria escalation militare tra Russia e Ucraina che vedrebbe inevitabilmente l’impegno diretto degli Stati Uniti (e del Regno Unito) a supporto di Kiev e di alcuni alleati regionali come Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania.
Se un simile fatto accadesse si assisterebbe allo scoppio di una grande guerra euroasiatica perché coinvolgerebbe attori situati bel al di là dei confini europei. La dimensione geopolitica delle potenze coinvolte avrebbe degli effetti irreversibili su tutta l’isola eurasiatica e avrebbe un importante impatto anche sugli equilibri del sud-est asiatico.
La Cina, in caso di un nuovo conflitto tra Russia e Ucraina, potrebbe sostenere militarmente e politicamente Mosca nel tentativo di logorare le forze americane e scaricare la tensione con Washington su una crush-zone lontano dai confini nazionali per poi, qualora si presentassero le condizioni, pianificare la riconquista di Taiwan e dell’intero Mar Cinese Meridionale, approfittando della distrazione americana sullo scenario europeo. Il gradiente geopolitico dell’affaire ucraino ha quindi una natura che per sua stessa connotazione è di portata mondiale dato che un eventuale conflitto nell’est europeo si allargherebbe in primis al Mar Nero e si sposterebbe progressivamente verso l’Estremo Oriente.

La polveriera ucraina è una delle più pericolose di questo XXI secolo che potrebbe portare non solo ad un radicale cambiamento nel tripolarismo Stati Uniti-Russia-Cina e all’inizio di un nuovo ordine internazionale ma anche ad una crisi profonda dell’Unione Europea che avrebbe grosse difficoltà a reggere all’impatto che una simile guerra avrebbe sullo scacchiere europeo.
Le cicatrici del Trattato di Versailles (1919) continuano a “sanguinare” a più di un secolo di distanza e influenzano ancora la storia dell’Europa e del Medio Oriente. Lo scenario ucraino potrebbe diventare il campo di un nuovo scontro tra occidente e Russia anche se al momento l’evoluzione delle tensioni sembrerebbe voler essere un atout per ottenere concessioni diplomatiche da ambo le parti ma il pericolo che la situazione sfugga al controllo è molto alto.
La distensione tra Mosca e Kiev con il ritiro delle truppe russe dal confine ucraino non simboleggia la fine delle tensioni ma soltanto una tregua. La militarizzazione della Crimea ad opera della Russia è un chiaro segnale di quanto questa zona diventerà cruciale nei prossimi quattro anni di amministrazione Biden.
La guerra del per il Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaijan dello scorso anno insegna che i cosiddetti “conflitti congelati” sono destinati a sciogliersi e a riprendere con maggiore violenza (si veda l’articolo dell’autore).