16 settembre 1982: la strage di Sabra e Shatila

di Nicola Comparato –

Sono passati 41 anni dal massacro dei palestinesi avvenuto in Libano il giorno 16 settembre 1982, e il triste ricordo di quel giorno viene ancora oggi tramandato ai bambini, dalle associazioni e dai sopravvissuti. 41 anni fa l’esercito israeliano, insieme ai falangisti libanesi, circondó i due campi profughi di Sabra e Shatila, a Beirut, con l’intento di scovare possibili combattenti palestinesi presenti sul luogo. Ma i due campi erano totalmente sprovvisti di supporto e protezione militare provenienti dalla Palestina, in seguito all’accordo di questi ultimi proposto dagli USA dell’allora presidente Ronald Regan di ritirarsi dai campi profughi per evitare quello che poi divenne un massacro per circa 700 persone. L’accordo prevedeva il ritiro dei militari palestinesi dai campi profughi in cambio della tutela della popolazione civile. Nonostante tutto, dal 16 settembre e per i successivi tre giorni i cristiano-falangisti libanesi (partito politico della destra libanese) rastrellarono i campi profughi in cerca di uomini, per poi passare alle donne e ai bambini. Nel frattempo i campi vennero chiusi dall’esercito israeliano impedendo ogni possibilità di fuga ai residenti, consentendo l’accesso solo ai libanesi che come unico scopo politico si erano prefissi di cacciare i palestinesi dal Libano e di vendicarsi del loro presidente ucciso due giorni prima in un attentato, Bachir Gemayel. Fu così che cominciò il Massacro di Sabra e Shatila, descritto dalle persone che visitarono i campi dopo il ritiro israeliano come violento, sanguinario, con decapitazioni e donne e bambini trucidati. Attualmente i campi sono ancora lì, sovraffollati, e ai palestinesi che ci vivono non è concesso nemmeno l’acquisto di una casa in territorio libanese. Le condizioni igieniche sono indescrivibili e la possibilità di trovare un lavoro è quasi inesistente per i palestinesi. A distanza di 41 anni nulla è cambiato e non esiste nessuna prospettiva di un futuro migliore per i bambini che vivono li, nei campi profughi, nonostante gli sforzi di tante associazioni, che ricordando un triste avvenimento del passato, riescono almeno a regalare un sorriso nel presente ai sopravvissuti e alle nuove generazioni.