di C.Alessandro Mauceri –
Molti notiziari nelle scorse settimane hanno diffuso le immagini dei miliziani dell’Isis che distruggevano opere d’arte. Molte autorità hanno lanciato l’allarme sullo scempio che si stava compiendo e sui danni che avrebbe subito l’enorme patrimonio artistico di paesi come Siria, Iraq, Libia, Egitto e Libano.
Recentemente, però, ci si è resi conto che più che di danni si deve parlare di furti.
Nei giorni scorsi si è svolto un incontro a porte chiuse del Consiglio di sicurezza Onu al quale hanno partecipato il segretario generale dell’Interpol Jurgen Stock e il numero uno dell’Unesco Irina Bokova. Oggetto dell’incontro proprio il furto di opere d’arte per mano dei terroristi dell’Isis: secondo le stime sono almeno 2.700 i reperti artistici e archeologici rubati dai jihadisti dell’Is. Come conferma l’ambasciatore iracheno presso le Nazioni Unite, Mohammed Alhakim, “E’ la prima volta che si tiene un incontro a questo livello sulla cultura e il patrimonio. Siamo andati oltre le questioni tecniche e abbiamo discusso di come la distruzione del patrimonio sia un crimine di guerra e di come il Consiglio di sicurezza Onu possa affrontare la questione”.
Lo scopo dei filmati in cui si mostravano persone che inveivano a colpi di mazza su opere d’arte è evidente: fingere di distruggere quello che in realtà viene rubato e poi venduto al miglior offerente. Il tutto con il solo e unico scopo di finanziare le iniziative dei miliziani dello Stato Islamico. Aree ricchissime di opere d’arte facenti parte del patrimonio culturale e della storia del Mediterraneo e del mondo intero sono state saccheggiate: come le zone monumentali di Nimrud, di Khorsabad, di Hatra e di Mosul. Sono molti i siti, spesso vicini ai luoghi dove si sono verificati scontri tra jihadisti e peshmerga curdi, che hanno subito la stessa sorte.
Il motivo di un simile accanimento è ovvio. Petrolio, droga, rapimenti e opere d’arte servono tutti a rimpinguare le casse dei terroristi. Ma mentre droga, rapimenti e scambi di armi internazionali fanno scalpore su tv e giornali (si pensi al rapimento delle due cooperanti italiane qualche mese fa), il traffico di opere d’arte è meno “disturbato” e meno contrastato. E per questo assai più redditizio. La conferma arriva da un’inchiesta del Guardian: il contrabbando d’oggetti d’arte ha un posto d’onore tra le fonti di finanziamento dei terroristi islamici.
Oggetti d’arte che spesso vengono venduti spudoratamente online, specie i pezzi di dimensioni più piccole. Numerosi contrabbandieri stanno già mettendo in vendita opere d’arte come bassorilievi, statue, monili, sarcofagi e arredi funerari tutti provenienti molto probabilmente dalle aree saccheggiate. Sui siti vengono fornite informazioni complete di video di statue funerarie egizie, vasi canopi, sacrari, busti romani, stele o stendardi sumeri, fregi ornamentali greci e monete, con l’annuncio: “in vendita”. Un commercio illegale che come ha ricostruito Simon Cox, giornalista della Bbc, viaggia dalla Siria al Libano, fino alla Turchia, per giungere in Europa e nei mercati dove i nuovi ricchi sono disposti a pagare somme ingenti pur di accaparrarsi un pezzo di storia.
Un giro d’affari in costante crescita: negli ultimi anni, il contrabbando di opere d’arte provenienti dal Medio Oriente ha avuto un’impennata dell’86 per cento, come confermano i dati della Us international trade commission. Un mercato prospero che frutta ai terroristi milioni di euro: recentemente un frammento di stele babilonese è stato venduto per un milione di euro.