5+5 Difesa, concluso il primo meeting dei ricercatori. Intervista a Claudio Bertolotti

di Vanessa Tomassini –

Dal 30 gennaio al 1 febbraio si è svolto a Roma il 1° meeting dei ricercatori dell’Euro-maghreb Centre for Researches and Strategic Studies for the Western Mediterranean (CEMRES), nell’ambito delle attività predisposte dall’Action Plan della Presidenza italiana dell’Iniziativa 5+5 Difesa di cui Notizie Geopolitiche aveva già parlato. Nel corso dell’evento, ospitato dal Centro Alti Studi per la Difesa (CASD) e coordinato dal Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), i ricercatori europei di Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Malta, insieme ai colleghi africani di Marocco, Algeria, Libia, Mauritania e Tunisia, hanno individuato le linee guida per il lavoro di ricerca nel 2018 del Centro di Ricerca e Studi Strategici per il Mediterraneo Occidentale (CEMRES). Abbiamo raggiunto il professor Claudio Bertolotti, analista senior presso l’Istituto Euro-Maghrebino di Studi Strategici che conduce le attività di ricerca nell’ambito dell’iniziativa 5+5 Difesa, per capire insieme quali saranno le sfide per l’anno appena iniziato.

– Quali sono le linee guida per il 2018 individuate durante questa due giorni?
“Come evidenziato dallo Stato Maggiore della Difesa, le linee guida o assi di ricerca principali sono due: il primo si concentra sulle organizzazioni criminali e la criminalità organizzata, il secondo sul fenomeno delle immigrazioni illegali o irregolari e le relative sovrapposizioni tra i due fenomeni. La criminalità organizzata infatti sfrutta il flusso migratorio verso l’Italia, in particolare dalla Libia, come una delle principali fonti di guadagno per le organizzazioni criminali transnazionali”.

– Proprio in questi giorni ci sono stati dei fatti che hanno scosso profondamente il nostro paese, come ad esempio quanto accaduto a Macerata e l’uccisione della giovanissima Pamela. Come valuta le politiche applicate fino ad oggi sul tema di immigrazione? Secondo voi ricercatori è necessario cambiare qualcosa?
“Va premesso che questo primo incontro è servito per definire l’indice del documento che dovrà essere sviluppato nel corso del 2018 e che verrà presentato a fine anno ai ministri della Difesa dell’area 5+5, quindi ancora non è stato concordato nulla tra le parti”.

– Lei è un ricercatore e si occupa proprio di questo, avrete parlato delle difficoltà che ci sono. C’è o no qualcosa che non va?
“Certo, la visione comune è che la criminalità organizzata che è dietro a questi fenomeni è direttamente, più che indirettamente, legata al terrorismo, in quanto i flussi migratori riescono a transitare in quei luoghi che sono sotto il controllo di gruppi terroristici, ad esempio quando parliamo di Libia e delle zone desertiche al confine con l’Algeria, dove troviamo gruppi riconducibili al sedicente Stato Islamico (IS), oppure in Nigeria con il Boko Haram. Poi vi è una presa di coscienza condivisa che i flussi migratori non possono essere bloccati con un approccio emergenziale, ma essendo un fenomeno strutturale di massa che interessa per lo più l’Africa e l’area mediterranea si è preso atto del fatto che si sta parlando di un fenomeno eccezionale, ma non emergenziale che dovrà essere affrontato per i prossimi 20-30 anni, quindi vanno adottati approcci strategici di lungo periodo”.

– Occupandoci di Libia e lavorando a stretto contatto con dei colleghi libici, le politiche italiane spesso sono viste come risolutive solo per il nostro paese, come un modo di traferire il problema dall’Europa ai centri di detenzione libici. Anche tra voi ricercatori vi sono visioni differenti?
“Sì, ci sono visioni molto diverse. Ciò è dovuto dal fatto che ciascun paese recepisce il fenomeno in maniera diversa, l’Algeria ad esempio considera il problema dell’immigrazione europeo pari a quello algerino. È inutile pensare al problema migratorio solamente come qualcosa che va a toccare le politiche europee. L’Algeria opera sul controllo dei confini affinché i flussi migratori non vadano a ledere il paese, anche la Tunisia ha un approccio simile, vedendo l’immigrazione come un fattore da cui dipende la stabilità interna. In Libia il controllo dei confini è ancora più difficile in quanto non vi è un vero e proprio controllo di tutto il territorio che viene delegato o gestito da alcuni gruppi, così che l’immigrazione incide pesantemente sulla stabilità e la sicurezza all’interno del paese, creando una linea parallela di potere antagonista spesso a quella dello stato”.

– Sempre parlando di Libia, un’altra notizia apparsa su tutti i giornali in questi giorni è che gli Stati Uniti supporterebbero le strategie proposte dal ministro degli Interni, Marco Minniti. Quanto è reale il rischio che tra gli arrivi dei migranti sulle coste italiane si nascondano anche dei terroristi?
“Io non ho ancora visto il report dell’intelligence che verrà reso pubblico tra pochissimi giorni, guardando a quello dell’anno scorso, quando si accennava già al problema, il rapporto dei nostri servizi con l’intelligence di altri paesi evidenziava il rischio che dei soggetti terroristi potessero entrare sul territorio nazionale tra la massa di migranti. Il problema è assolutamente reale anche se non è possibile quantificarlo, né rappresenta un pericolo di ampia portata. Un’altra considerazione che va fatta è che la notizia di qualche giorno fa sull’avvertimento dell’Interpol di 50 tunisini arrivati in Italia con connessioni con gruppi terroristici mi ha lasciato molto perplesso, in quanto i media dell’area anglosassone hanno tirato fuori questa notizia poi ripresa da alcuni media italiani, dando vita a quella situazione di circulating report. È vero che quelle 50 persone avevano collegamenti col terrorismo, ma sono state espulse, trattenute o rispedite nei loro paesi di provenienza: non sono 50 terroristi a piede libero in Italia”.