Africa. I tre volti delle presidenziali ’24

di Francesco Giappichini

I network dell’informazione hanno scritto che il ’24 sarà il “più grande anno elettorale della storia”, mentre il Corriere della sera ha definito il “2024, l’anno che può cambiare il mondo. A colpi di elezioni”. Tralasciando queste (comprensibili) approssimazioni giornalistiche, poiché è piuttosto ardito porre sullo stesso piano le presidenziali messicane e il rinnovo del Parlamento europeo, rivolgeremo qui lo sguardo alle elezioni previste in Africa. Dovremo però restringere il campo al voto presidenziale, sebbene nei Paesi ove vige il cosiddetto semipresidenzialismo alla francese le elezioni legislative siano sovente più importanti, rispetto alla scelta del capo dello stato.
Tralasceremo così il voto per il rinnovo delle Assemblee legislative di Madagascar e Togo, previsto nei prossimi mesi. Epperò le tesi degli analisti più pessimisti – quelli convinti che l’unico dato credibile sia il tasso di astensione – ci obbligano a un’altra premessa. Sì, perché in molti Paesi dell’area le percentuali degli astenuti che vengono divulgate, non hanno alcun valore: non si basano, infatti, sugli aventi diritto al voto astrattamente intesi, ma solo sui cittadini che hanno adempiuto a tutte le formalità per iscriversi nelle liste elettorali. Andiamo però con ordine. Secondo la maggioranza dei politologi che si occupano del continente africano, le 13 elezioni presidenziali previste nel ’24 possono essere suddivise in tre gruppi.
Il primo di essi riunisce le cinque sfide elettorali che prevedono sufficienti garanzie per i contendenti: in questi casi si può parlare di competizioni libere, che contemplano l’alternanza delle forze politiche in campo. Un po’ come è avvenuto nella Liberia dell’ex presidente George Weah, di recente sconfitto. E nello specifico ci riferiamo agli appuntamenti elettorali che si celebreranno, in ordine di tempo, in Senegal, Sudafrica, Mozambico, Namibia, e Ghana. Sì, la maggioranza degli analisti continua a classificare il Senegal tra le Nazioni ove vige lo stato di diritto, nonostante l’accanimento, da parte del regime al potere, nei confronti del leader dell’opposizione Ousmane Sonko.
Farebbero invece parte del secondo gruppo cinque elezioni, che saranno organizzate in alcuni regimi semi autoritari: qui si preferisce salvaguardare le apparenze, e inscenare un rito formale, che comunque perpetui il potere nelle mani di una sola persona (o di un solo partito). Un po’ come nell’Egitto del presidente Abdel Fattah Al-Sisi. E ci riferiamo alle consultazioni che, in ordine cronologico, si svolgeranno nelle Comore, in Mauritania, Ruanda, Tunisia e Algeria. E la sfida d’esordio andrà in scena proprio nelle Comore del presidente Azali Assouman, il 14 gennaio. L’ultima categoria riunisce invece tre Paesi dell’Africa francofona, ove giunte militari hanno conseguito il potere con mezzi extra costituzionali, e che attraversano delle fasi di transizione, che dovrebbero preludere a un ritorno alla democrazia. Nei mesi scorsi i leader di queste tre Nazioni – ossia Mali, Ciad e Guinea – hanno annunciato il ritorno al voto entro quest’anno; tuttavia gli esperti prevedono che solo il Ciad riesca ad organizzare le proprie élection présidentielle, previste entro ottobre. Infatti la giunta di Bamako, dopo aver annunciato la data del 4 febbraio ’24, ha disposto «un leggero rinvio per motivi tecnici». Situazione ancor più fumosa in Guinea, ove il presidente ad interim ha semplicemente annunciato le dimissioni della propria giunta entro il ’24.