Arabia Saudita. Nel paese del “rinascimento” giustiziate 81 persone in un giorno

di C. Alessandro Maceri

Nelle scorse ore, forse perché troppo impegnati a parlare della guerra in Ucraina, i media nazionali hanno dimenticato di dedicare la propria attenzione ad un altro problema strettamente connesso con i diritti umani. In un giorno solo l’Arabia Saudita ha giustiziato 81 uomini. Sette erano yemeniti e uno cittadino siriano. Secondo quanto ha riportato l’agenzia di stampa statale SPA, due le accuse principali: terrorismo e detenzione di “credenze devianti”. Tra i condannati anche 37 cittadini sauditi giudicati colpevoli in un unico processo per aver tentato di assassinare agenti di sicurezza e preso di mira stazioni di polizia. Secondo il ministero dell’Interno, le 81 persone sono state condannate per vari crimini, tra cui l’omicidio di uomini, donne e bambini innocenti. “I crimini commessi da queste persone includono anche la promessa di fedeltà alle organizzazioni terroristiche straniere, come l’Isis (Stato islamico), al-Qaeda e gli Houthi”.
Con queste esecuzioni il paese, indicato da alcuni come l’ideatore del nuovo Rinascimento, ha stabilito un nuovo record.
La decisione di eseguire tutte queste condanne capitali si scontra pesantemente con la posizione dell’Arabia Saudita che ha sempre negato le accuse di violazioni dei diritti umani, ma di voler semplicemente tutelare la sicurezza nazionale rispettando le leggi vigenti. Anche nel caso delle ultime condanne agli accusati sarebbe stato concesso il diritto a un avvocato durante il processo giudiziario. Poi sono stati giustiziati. Le autorità non ha detto come sono state eseguite le condanne a morte: il metodo più comune in Arabia Saudita sarebbe la decapitazione, ma a volte si ricorre alla fucilazione.
“Queste esecuzioni sono l’opposto della giustizia”, ​​ha dichiarato Ali Adubusi, direttore dell’Organizzazione saudita europea per i diritti umani. Ha detto che in molti dei casi, le accuse contro gli accusati non riguardavano “una goccia di sangue”.
Secondo un rapporto pubblicato sul sito di notizie iraniano collegato all’establishment della sicurezza del paese Nouronews, nei giorni scorsi  l’Iran (paese a maggioranza sciita) aveva “temporaneamente” sospeso i colloqui l’Arabia Saudita (a maggioranza sunnita). Tra i due paesi esiste una rivalità di origini antiche. Lo scorso anno erano stati avviati nuovi colloqui per abbassare le tensioni sulla guerra in Yemen e sulle milizie sostenute dall’Iran in Iraq. Con l’avvio dei colloqui, il governo saudita aveva dichiarato di aver sospeso la pena capitale per alcuni reati.
“Il mondo dovrebbe sapere che quando Mohammed bin Salman promette riforme, è inevitabile che seguirà uno spargimento di sangue”, ha dichiarato sabato Soraya Bauwens, vicedirettore di Reprieve, un gruppo di difesa che traccia le esecuzioni in Arabia Saudita.
Il silenzio dei paesi occidentali sull’accaduto non può essere giustificato nemmeno pensando che molti guardano all’Arabia Saudita, uno dei maggiori produttori di petrolio del mondo, per compensare la carenza di forniture di fonti energetiche dalla Russia.