Argentina. Javier Milei e la «dolarización»

di Francesco Giappichini

Riuscirà il deputato 52enne Javier Milei a estirpare dall’Argentina un peso fiaccato dalla svalutazione, e giudicato causa di povertà e di un’inflazione al 115% annuo? Ce la farà a sostituirlo col dollaro statunitense? Sarà in grado di sottrarre alla politica la macchina per stampare moneta? Farà in modo che «le saquen la máquina de imprimir billetes a los políticos»? Sarà capace di far esplodere il Banco central de la República argentina (Bcra), affinché il Paese sia privato della massima autorità monetaria? «Quando parlo di bruciare la Banca centrale non si tratta di una metafora, voglio farla esplodere con la dinamite, ma questo è letterale. Cioè, farla implodere e che tutte le macerie rimangano», ha affermato.
«Ultraderechista», libertario, anti sistema, «ultraliberal», «anarcocapitalista», «mensajero del miedo», «el loco», Donald Trump o Jair Bolsonaro di Argentina, paleocapitalista, anti-casta, Grillo argentino, vittima di bullismo e maltrattamenti in famiglia, cultore dell’esoterismo, pro-legalizzazione della vendita di organi (e anche di bambini, prima del prevedibile dietrofront): sono solo alcune, tra le tante definizioni che la stampa ha dato all’economista Milei, presidente del Partido libertario (Pl). Né manca chi, tra i politologi, lo classifica come un «bicho raro», una bestia rara, nello stesso panorama dell’estrema destra: sì, perché nella sua narrazione mancano alcuni dei punti fermi dei nazionalisti.
È infatti assente ogni retorica anti-immigrati e non si rivendica la memoria della dittatura militare, (anche se il rapporto privilegiato con le Forze armate è stato di fatto appaltato alla vice Victoria Villarruel); inoltre non emerge il conservatorismo sociale tipico delle destre, e lo stesso messaggio anti-abortista pare un’aggiunta programmatica recente e posticcia. Andiamo però con ordine. Il candidato presidenziale per la coalizione La libertad avanza (Lla) ha vinto le primarie del 13 agosto, e guida i sondaggi: è dato vincente sia al primo turno di ottobre, sia al ballottaggio di novembre (probabilmente contro l’attuale ministro dell’Economia Sergio Massa, che guida l’alleanza peronista Unión por la patria – Up o Uxp).
Tra le proposte di Milei, la più discussa è la «dolarización», che è contestata soprattutto per il percorso di avvicinamento. Tuttavia dal suo entourage ci si difende con un argomento all’apparenza efficace: gli argentini stanno risparmiando in dollari, e di fatto li hanno già scelti come loro valuta. Un obiettivo che tuttavia non dovrà più essere raggiunto entro due anni e mezzo, come si declamava tempo fa, ma (più genericamente) nel più breve tempo possibile. Secondo la sua cerchia di economisti, il processo di dollarizzazione di Buenos Aires dovrà esser preceduto da tre riforme propedeutiche: taglio draconiano alla spesa pubblica (da attuare con la «motosega»), massima flessibilità lavorativa e apertura totale dei mercati. Mentre i più critici ribattono che se le riforme fossero ben attuate, allora non vi sarebbe più necessità di «dolarizar». A seguire, si punterà alla «concorrenza tra le valute», e per usare il suo esempio, si potrà «usare l’oro, il franco svizzero, la sterlina». L’ultimo passo consiste in una (nebulosa) cartolarizzazione, che dovrebbe trasformare le attività della Banca centrale in titoli del debito pubblico. In totale l’operazione costerà 35 miliardi di dollari, e vi si farà fronte con le riserve internazionali del Bcra, e un nuovo processo di svalutazione del peso argentino.