Brexit: da J.P. Morgan a Deutsche Bank, fuga banche dalla City. Toyota e Nissan bloccano investimenti

di Notizie Geopolitiche – 

Deutsche bankNon ha tardato ad arrivare la reazione di banche e grandi aziende all’esito del referendum che ieri ha deciso l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, la cosiddetta Brexit; solo poche ore fa l’emittente britannica Bbc aveva diffuso la notizia della decisione della banca newyorkese Morgan Stanley di trasferire 2.000 dei suoi dipendenti da Londra verso un’altra città europea. Benché la voce sia stata poi smentita da una nota dello stesso istituto di credito, questo non sarebbe comunque stato un caso isolato: il colosso finanziario statunitense J.P. Morgan ha infatti intenzione di trasferire un numero compreso tra i 1.000 ed i 4.000 dei suoi 16.000 dipendenti che lavorano attualmente nel Regno Unito in un altro paese, membro dell’Unione Europea, mentre la tedesca Deutsche Bank, che in Gran Bretagna dà lavoro a 9.000 persone, ha già varato un piano per lo spostamento di attività attualmente in territorio britannico, verso stati Ue, tra questi Francia e Germania.
La possibile fuga dei banchieri dalla City ha quindi attratto l’interesse delle principali piazze finanziarie d’Europa, principalmente Francoforte, dove il gruppo lobbystico Frankfurt Main Finance ha invitato gli operatori inglesi del settore a trasferire le loro attività nella città tedesca, presentata come più stabile e sicura rispetto all’incertezza che regnerà nella capitale britannica nei prossimi anni.
I problemi per Londra non arrivano però solo dal settore della finanza. Anche le grandi industrie, soprattutto quelle del settore automobilistico, stanno prendendo le loro contromisure: al contrario del gruppo Fiat-Chrysler (Fca), il quale ha dichiarato che la Brexit non influenzerà le sue politiche in Gran Bretagna, Toyota e Nissan, che assieme producono nel Regno Unito quasi 700.000 vetture all’anno, hanno infatti affermato di voler temporaneamente “rallentare” gli investimenti in territorio britannico, rivedendo i propri piani a fronte delle nuove condizioni.
Secondo una stima del ministero del Tesoro di Londra, resa nota verso la fine di maggio, l’uscita del paese dall’Ue potrebbe infatti comportare un calo del Pil nazionale di circa il 6%, con una perdita di oltre 800.000 posti di lavoro.