di Mario Lettieri e Paolo Raimondi * –
Gli Usa non possono più ignorare la de-dollarizzazione che i Brics stanno conducendo da qualche tempo. Le sue conseguenze globali non possono più essere sottovalutate, anche dall’Europa. Ostacolare tale processo vorrebbe dire accentuare lo scontro tra blocchi; osservarlo semplicemente, con distacco e supponenza, significherebbe assistere allo sfaldamento dell’attuale sistema globale. Occorrono delle idee coraggiose di riforma dell’attuale sistema e una nuova visione cooperativa e multilaterale, come il progetto di un paniere globale di monete di cui abbiamo più volte anche noi scritto.
Il commercio dell’energia, petrolio e gas, è effettuato sempre più con l’utilizzo delle monete locali. Non si tratta solo degli accordi in yuan e rubli tra Cina e Russia di cui si parla da anni. Nel 2023 un quinto di tutto il commercio petrolifero mondiale è stato fatto con monete diverse dal dollaro. In generale l’utilizzo del dollaro nei commerci dei paesi Brics è in forte diminuzione, appena il 28,7% nel 2023.
In Nigeria, futuro membro dei Brics, gli operatori petroliferi, comprese le raffinerie, hanno deciso di utilizzare la naira, e non il dollaro, anche nelle loro operazioni interne sul petrolio e il gas.
L’India ha firmato un accordo sul petrolio in rupie con gli Emirati arabi uniti (Eau). E’ il secondo partner commerciale degli Eau. Il totale dei loro scambi raggiungerà presto 100 miliardi di dollari. Gli Eau lavorano con 15 paesi per promuovere scambi in monete locali.
Nuova Delhi intende pagare in rupie anche il petrolio importato dall’Arabia Saudita e opera intensamente per regolare i suoi commerci internazionali con le monete nazionali. Presentata come una grande democrazia, in contrasto con Cina e Russia, e come amica e alleata dell’Occidente, l’India, però, non è seconda a nessuno nel processo di de-dollarizzazione dei suoi commerci.
Non c’è solo l’utilizzo delle monete locali. Si stima che il gruppo Brics abbia oggi una quota del 22% delle esportazioni globali di merci e servizi. Tuttavia, la maggior parte degli accordi nel commercio internazionale è effettuata nelle valute del G7 attraverso il sistema interbancario Swift. Nel settembre 2023 le quote del dollaro, dell’euro e della sterlina, usate nel sistema Swift, si attestavano rispettivamente al 45,58%, 23,6% e 7,32%. Lo yuan è solo la quinta valuta di pagamento su detto sistema (3,71%), appena dietro lo yen giapponese (4,2%).
Nel 2020, tramite Swift sono stati trasmessi messaggi finanziari per un valore di 140 trilioni di dollari per eseguire i pagamenti. Invece, meno dello 0,5% del volume delle transazioni è passato attraverso il sistema di pagamento interbancario transfrontaliero (Cips) della Cina.
Pertanto, la reale indipendenza dei Brics dall’infrastruttura di pagamento internazionale controllata dall’Occidente può essere garantita solo dal proprio sistema di regolamenti multilaterali nelle valute nazionali. Dal 2018 essi lavorano per un progetto, il Brics Pay, che si prefigge anche l’uso di nuove tecnologie come il blockchain e le valute digitali delle banche centrali. Non si tratta di criptovalute. E’ studiato in modo tale da poter utilizzare qualsiasi valuta usata dai membri del gruppo.
Il Brics Pay ha diversi scopi, principalmente per i pagamenti transfrontalieri nel commercio internazionale tra aziende, banche d’investimento e micro finanza. Esso è stato adottato da diverse istituzioni e aziende nei paesi Brics ed è in costante crescita. La State Bank of India, la russa Sberbank, la Bank of China, la Petrobras e molti altri la utilizzano. Anche l’inglese Standard Chartered Bank ha integrato il Brics Pay nella sua piattaforma di pagamento digitale. Alla base del Brics Pay c’è poi la Nuova Banca per lo Sviluppo, la banca dei Brics, dove sono elaborate tutte le transazioni finanziarie tra le nazioni del gruppo.
Si ricordi che i Brics rappresentano anche il 15% delle riserve globali di oro. Non poco, anzi una cifra significativa tanto da indurre il gruppo a studiare altri strumenti monetari dove l’oro dovrebbe avere un ruolo importante.
Non crediamo che il G7 sia pronto ad affrontare riforme radicali come questo tempo richiederebbe.
* Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista e docente universitario.