Caso Navalny: la Russia accusa la Cedu di interferire nel sistema giudiziario nazionale

di Guido Keller

Il caso Navalny continua a monopolizzare le dinamiche internazionali dopo che mercoledì ieri il ministro della giustizia russo Konstantin Chuychenko ha etichettato come “illegale” la richiesta della Corte europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) di rilasciare il blogger e oppositore russo. L’azione della CEDU è stata interpretata dal Cremlino come un tentativo di interferire nel sistema giudiziario federale russo e di effettuare pressioni sulla base di informazioni false riportate dalla Corte di Strasburgo nelle quali si affermerebbe che il blogger russo sarebbe in pericolo di vita.
Anche se la Corte di Strasburgo è un organismo indipendente dall’Unione Europea, la velocità con cui è stato esaminato il caso di Alexei Navalny e le richieste effettuate ricalcano le orme di quanto espresso nei giorni scorsi da diversi esponenti politici di Bruxelles, elemento che non è apparso inosservato dai media russi.
In un periodo storico caratterizzato dalla pandemia da Covid-19, dall’aumento dei problemi socioeconomici e dalla necessità di reperire il vaccino per i cittadini europei, è singolare come il caso Navalny sia divenuto centrale nei media e nell’agenda politica europea.
Sin dallo scorso agosto il blogger russo è riuscito ad insinuarsi nei rapporti russo-europei rappresentando un ostacolo alla cooperazione tra le parti per far fronte a minacce globali quali la pandemia, il terrorismo, la criminalità organizzata e la gestione dei flussi migratori, fenomeni che non sono scomparsi nel contesto europeo e che continuano a costituire un problema a livello sociale e della sicurezza. Il mondo ha assistito così ad una escalation mediatica il cui fine era quella di promuovere l’immagine di Navalny come combattente per la libertà politica nonché alternativa alla leadership del presidente russo Vladimir Putin. Un oppositore che però non solo è sempre stato caratterizzato da un programma nazionalista e xenofobo, ma che non è mai riuscito a ricevere un vero e largo consenso popolare.
Occorre sottolineare come la figura di Alexei Navalny non riesca ad avere in patria quel supporto o sostegno che ha in occidente: se le minoranze etniche e religiose hanno dimostrato di non gradire il blogger russo a causa delle sue posizioni nazionaliste e xenofobe, la popolazione di etnia russa è rimasta delusa dal comportamento di Navalny durante l’udienza del suo processo in tribunale. Se prima il blogger russo era apparso un leader carismatico capace di tenere testa al Cremlino e di ispirare il popolo russo verso quello che lui stesso definiva un movimento liberale, le parole diffamatorie contro Ignat Artemenko, veterano della Grande Guerra Patriottica (Seconda Guerra Mondiale) e i commenti sarcastici contro il pubblico ministero e il giudice (entrambe donne) ne hanno di gran lunga offuscato l’immagine a tal punto che, secondo quanto trapela dalle fonti locali, gli stessi avvocati del blogger russo hanno richiesto al tribunale di non far entrare i media nell’aula e di non filmare il processo.
In questo clima da “Nuova Guerra Fredda”, che sembra aver caratterizzato le relazioni russo-europee sin dalla crisi ucraina del 2014, l’azione della CEDU e le richieste di scarcerazione di Navalny rischiano di essere un preambolo per nuove sanzioni alla Russia. Il rilascio immediato dell’oppositore russo come “misura provvisoria” richiesta dalla Corte di Strasburgo irrompe in maniera preponderante nel sistema giudiziario russo e non considera l’iter del processo a cui ogni cittadino russo è sottoposto, un segnale interpretato da Mosca della politica dei doppi standard, che spesso l’occidente ha utilizzato non soltanto con la Russia, ma anche nei confronti di quei paesi percepiti come “nemici” o “minaccia”. Richiesta che si scontra con la Costituzione russa che prevede di non seguire quanto sancito dagli accordi internazionali se questi contraddicono la legge federale nazionale.
La volontà di far scarcerare Navalny attraverso l’operato della Corte di Strasburgo è stata interpretata da alcuni analisti come il tentativo di sfruttare un organismo indipendente per perseguire una linea politica dell’Unione Europea non rispettando il principio di uguaglianza davanti la legge, ma anzi affrettando l’iter processuale prima della giornata di domani, quando si terrà l’esame del ricordo della sentenza a Navalny, che potrà sostituire la pena sospesa con una applicata. Le richieste della CEDU in questa ottica sembrano essere l’ultimo step o tentativo di contrastare la Russia a seguito del crollo di immagine del blogger che ha registrato negli ultimi tempi, e della poca incidenza che le manifestazioni del 23 e 31 gennaio 2021 hanno avuto a tal punto che la chiamata alla protesta di piazza contro il governo prevista per il 2 febbraio è quasi caduta nel vuoto.
Quanto fatto dalla Corte di Strasburgo viene recepito da Mosca come una chiara ingerenza nella propria politica interna e nel proprio sistema giudiziario nazionale e, anche se Strasburgo ne rivendica il diritto e la completa autonomia, si insinua e mina ancora di più i difficili rapporti russo-europei e rischia di allargare il divario tra le parti in un momento storico che dovrebbe essere scandito dalla cooperazione nella lotta congiunta contro la minaccia del Covid-19. La domanda che ci si deve porre è se questo continuo inasprimento dei rapporti a cui la CEDU abbia dato il suo contributo gettando benzina sul fuoco non rischi di creare un divario incolmabile tra il mondo russo e quello europeo, con danni significativi per la cooperazione.

Allexei Navalny. (Foto Twitter).