Cina. Gli obiettivi per il 2024

di Francesco Giappichini –

Da settimane gli analisti cercano di scoprire i reali obiettivi della Cina per quel che resta del 2024, e quindi d’interpretare le recenti dichiarazioni del primo ministro Li Qang. Nel corso delle annuali riunioni istituzionali il premier, pur facendo alcune ammissioni, ha dimostrato grande ottimismo; ma inevitabilmente ciò non ha dissolto i dubbi su una possibile fine del miracolo economico cinese. E alcuni economisti hanno fatto paragoni con i decenni perduti del Giappone, a partire dagli Anni novanta. Non si dimentichi, infatti, che l’anno è cominciato con un crollo del mercato azionario, e con una deflazione che ha raggiunto livelli mai visti dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009.
Innanzitutto Li Qang, senza fornire molti dettagli, ha fissato l’obiettivo di crescita al +5% del Prodotto interno lordo (Pil). Un risultato che, pur basso rispetto alle medie decennali, appare invero piuttosto ambizioso: non sarà più possibile contare sui rimbalzi statistici legati alla fase pandemica. Per quanto riguarda gli altri dati macroeconomici, il deficit di bilancio per il ’24 è previsto al 3%, e anche gli obiettivi inflazionistici sono fissati al 3% annuo. Ha quindi declamato un aumento delle spese militari pari al 7,2%, inasprendo la retorica su Taiwan: in quest’occasione non si è fatto riferimento al principio distensivo della «riunificazione pacifica». Peraltro il bilancio della Difesa cinese è raddoppiato da quando, nel 2012, il presidente Xi Jinping è salito al potere.
Invitabili poi i cenni alla crisi immobiliare, e a quella demografica, che mette in discussione il modello di crescita basato sui consumi (si è promesso di migliorare le politiche a sostegno alle nascite).

Per ulteriori approfondimenti, abbiamo sentito il parere del bergamasco Lorenzo Riccardi, dottore commercialista con lunga esperienza nei mercati orientali, e tesoriere della Camera di commercio italiana in Cina. Specializzato in fiscalità internazionale, lavora in Cina, a Shanghai, da molti anni. Qui insegna Fiscalità presso l’Università Jiao Tong di Shanghai, uno dei più antichi e autorevoli atenei del Paese, oltre a essere ricercatore universitario di Fiscalità e commercio internazionale presso il Center for China and globalization belt and road institute.
È inoltre membro dell’American Institute of certified public accountants (Aicpa), del Certified practising accountant Australia, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili (Cndcec), del Registro dei revisori legali, e dell’International affiliates of the Hong Kong institute of certified public accountants. È anche partner dello studio di consulenza Rsa – Riccardi studio associato, specializzato in Asia e paesi emergenti. Qui si occupa di Diritto commerciale e Diritto tributario, seguendo gli investimenti stranieri in Cina e Sudest asiatico. La sua produzione pubblicistica è sterminata, segnaliamo comunque la “Guida alla fiscalità di Cina, India e Vietnam” pubblicata dal “Sole 24 Ore”, “Gli investimenti… in Asia Orientale” per Maggioli editore, e il recente «San Marino and international investments» edito da Springer nature Singapore.

– Crescita sotto le attese, deflazione, crisi dell’export e del mercato immobiliare: crede che l’economia cinese riuscirà, e semmai con quali tempistiche, a superare questi problemi? O sarà frenata dal calo demografico?
«Le criticità dell’economia cinese rimangono in particolare la scarsa domanda interna, le tensioni con Stati Uniti e Unione europea, e la disoccupazione domestica. Occorre tuttavia considerare che nel 2023 l’economia cinese è cresciuta del 5,2% su base annua, superando il target del 5%; né va dimenticato che le dimensioni del mercato cinese sono diverse e maggiori rispetto a ogni altro. Per il 2024, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Goldman Sachs, Citigroup e altri istituti commerciali prevedono una crescita economica cinese tra il 4,4 e il 4,6 per cento».

– Quanto la disoccupazione giovanile (e lo scontento di genitori che hanno fatto enormi sacrifici per far studiare i figli) può mettere in pericolo il patto sociale? Ovvero la restrizione delle libertà individuali, in cambio del miglioramento delle condizioni di vita per le generazioni future?
«La disoccupazione media, nel 2023, si è attestata intorno al 5%; mentre la disoccupazione giovanile, nel primo semestre dello scorso anno, ha toccato il 20 per cento. Proprio per questo, durante le riunioni plenarie dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza consultiva del popolo – le cosiddette “Due sessioni” o Liang Hui – il premier Li Qian ha confermato alcuni target specifici per il governo. Ovvero la creazione entro l’anno di 12 milioni di nuovi posti di lavoro nelle aree urbane, e mantenere la disoccupazione entro il 5,5 per cento».

– Giudica saldo il consenso delle popolazioni urbane nei confronti dei vertici politici? O emergono forme d’insofferenza verso le variegate forme di censura e autocensura?
«Il tenore di vita nelle città cinesi rimane molto alto, se comparato agli standard regionali ed in particolare ai Paesi confinanti. Sulla costa la ricchezza raggiunta dalle nuove generazioni è tangibile nelle auto, nella tecnologia, nelle infrastrutture e più in generale nel tenore di vita. Sono invece più che altro gli imprenditori che hanno guadagnato per molti anni, a lamentare le complessità che si trovano ad affrontare. Questo rallentamento dell’economia domestica è però tipico dei Paesi che aumentano la qualità del proprio sviluppo, quindi i propri indici di sviluppo umano».

– Come interpreta la classe media cinese, la questione di Taiwan? Prevalgono i timori di un conflitto armato, o il desiderio di riunificazione?
«L’isola di Taiwan è stata a lungo una delle questioni al centro delle relazioni tra Stati Uniti e Cina, essendo uno dei maggiori produttori di semiconduttori a livello mondiale. Va tuttavia rimarcato che si tratta di una questione di geopolitica globale, che localmente non viene percepita come un problema interno alla Cina continentale. La classe media cinese considera Cina continentale e Taiwan un unico Paese, per storia e geografia; ma di certo nessuno è interessato ad avere crisi o conflitti, che impattino lo standard di vita raggiunto sino ad ora».

– Quali conseguenze sta producendo l’implementazione del Sistema di credito sociale, più noto come Scs? Pare veramente affermarsi uno scenario distopico, in grado di alterare i rapporti sociali?
«Il Sistema di credito sociale cinese si riferisce a una rete diversificata di iniziative, in teoria mirate a potenziare il livello di fiducia all’interno della società; il progetto è iniziato con un focus sulla solvibilità finanziaria, un po’ come avviene con i punteggi di credito utilizzati nei paesi occidentali. Tuttavia vi è l’obiettivo di estenderlo a diversi ambiti, per prevenire, e quindi evitare, le violazioni di legge. La sensazione è che sia ancora in una fase test, e non è ancora evidente un impatto allargato sulla società».