COREA DEL NORD. Pyongyang cercò in Italia materiale per programma nucleare

Adnkronos –

Il regime di Pyongyang, nel corso del continuo ‘shopping’ internazionale per acquistare le attrezzature e i materiali necessari allo sviluppo del programma nucleare, si rivolse anche all’Italia. Lo scrive il periodico The Atlantic che ha intervistato Mark Hibbs, ex giornalista e uno dei massimi esperti mondiali di proliferazione nucleare. Hibbs , che lavora come riceractore per il Carnegie Endowment for International Peace, all’inizio degli anni ’90 fece luce luce sul programma nucleare di Saddam Hussein e piu’ recentemente contribui’ a svelare la rete di traffici gestita dallo scienziato pakistano A.Q. Khan. In particolare, racconta l’esperto, la Corea del Nord cerco’ di acquistare in Italia e in altri Paesi un certo quantitativo di alluminio. “Tentarono di trovarlo in Cina, lo cercarono in Italia, Germania, nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Austria. E infine riuscirono a procurarselo”, afferma Hibbs, che definisce la Corea del Nord un “buon esempio” nel novero dei Paesi che tentano di aggirare le restrizioni imposte dalla comunita’ internazionale contro la proliferazione di tecnologie e materiali da impiegare in programmi nucleari non autorizzati. Contrastare questi traffici, spiega l’esperto, e’ un compito difficile, in particolare “con le attrezzature o i materiali di ‘doppio uso’, dove non e’ chiaro fin dall’inizio che i materiali richiesti dal cliente verranno necessariamente impiegati per la produzione di armi nucleari, o perfino per un uso connesso al nucleare”. Come spiega ancora Hibbs, in riferimento al quantitativo di alluminio destinato alla Corea del Nord per uso nucleare, “ci volle uno sforzo supplementare per contrastare questo commercio. In un caso particolare ci fu un operatore tedesco che riusci’ a metter le mani su un certo quantitativo di alluminio e si disse disposto a esportarlo in Cina, a patto che l’utilizzatore finale fosse cinese”. Di fatto, “quello che le autorita’ doganali riuscirono a scoprire fu che il destinatario finale era in Corea del Nord. Fu un caso difficile da perseguire, perche’ le persone coinvolte nella spedizione sostennero di non essere a conoscenza del fatto che il materiale sarebbe stato usato in un programma nucleare”, conclude l’esperto.