Ecuador. Le 7 cause della “deriva narco”

di Francesco Giappichini –

L’assassinio del candidato presidenziale Fernando Villavicencio, il 9 agosto, lascerà il segno sul voto del 20 agosto, e rappresenta l’ingresso definitivo dell’Ecuador nella lista nera dei “narco-estado”. Uno scenario descritto con macabra ironia dall’analista politico Pedro Donoso: “Ecuador temía convertirse en Venezuela y ahora se parece a la Colombia de los 80”. “Il problema principale dell’Ecuador, in relazione alla geopolitica del narcotraffico, è costituito dalla sua posizione territoriale, stretto tra Colombia e Perù, i principali produttori di cocaina nel mondo, nonché dalla fragilità dei controlli sistematici alle frontiere: si favorisce così l’ingresso degli stupefacenti, che vengono successivamente trasportati in aree strategiche della costa e di Guayaquil”.
Lo specifica il rapporto della Policía nacional del Ecuador, del luglio ’23, che cerca di spiegare la trasformazione dell’Ecuador in un narco-stato. Ovviamente, col corollario dell’impennata di violenza: nel ’21 il tasso di omicidi era di 13 ogni 100mila abitanti, nel ’22 è salito a 22,6, mentre si prevede per quest’anno un indice monstre di 40. Le origini della “deriva narco” sono varie e hanno radici antiche. In primo luogo va segnalato che nel mondo, negli ultimi anni, produzione e consumo di cocaina si sono impennati: tra il ’20 e il ’21 la coltivazione è cresciuta del 35%, il più alto tasso di crescita annuale dal ’16. E ciò ha incrementato le rotte che attraversano l’Ecuador: il Paese confina con i Dipartimenti colombiani di Nariño e Putumayo, ed è qui che si produce oltre un terzo della coca colombiana.
Il secondo motivo della trasformazione dell’Ecuador in un «narcostato» risiede nell’«efecto globo», o «effetto palloncino». Ciò significa che la repressione antidroga di Bogotà ha causato il trasferimento di parte delle attività criminali, verso altre aree: e l’Ecuador sarebbe divenuto centrale sia per le nuove rotte, sia per i nuovi centri di raccolta, lavorazione e distribuzione, (il ruolo delle piantagioni ecuadoregne continua invece a essere marginale). La terza causa è identificata con la chiusura, nel ’09, della base militare statunitense di Manta. Lo smantellamento, una promessa elettorale dell’ex presidente Rafael Correa, sarebbe stata esiziale per il controllo dello spazio aereo e navale.
Il quarto motivo è invece legato alla smobilitazione, nel ’16, delle Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc) e all’accordo di pace stretto con le Autorità colombiane. Le Farc controllavano le catene di produzione e distribuzione della cocaina, e la loro smobilitazione ha prodotto cambiamenti nelle rotte, e soprattutto una sorta di decentralizzazione del business, che ha coinvolto il confinante Ecuador. Un quinto fattore ha a che vedere col sovraffollamento e il relativo caos nelle carceri: tra l’altro il controllo dei penitenziari è fondamentale per ridurre la capacità operative delle bande rivali. Il sesto riguarda i legami con i potenti cartelli messicani: se i locali Choneros collaborano storicamente col cartello di Sinaloa (presente in loco dal ’03), i Lobos, i Lagartos e i Tiguerones operano invece sotto gli ordini del Cartel Jalisco nueva generación (Cjng). La settima causa della deriva ecuadoriana è invece la corruzione, che secondo il noto giornalista locale Arturo Torres “è peggiorata molto di più con tutto il denaro generato dal traffico di droga, che corrompe non solo il sistema giudiziario, il sistema carcerario, ma anche la Polizia e l’Esercito”.