Egitto. Salito il numero dei morti, rischio di guerra civile. Ma c’è chi si serve delle piazze…

di Guido Keller

egitto strage 2 grandeE’ salito ancora, continua a salire, il numero dei morti della carneficina egiziana, partita dallo sgombero da parte delle Forze di sicurezza dei sit-in dei sostenitori dell’ex presidente Mohammed Morsi, in maggioranza Fratelli Musulmani, dalle piazze al-Nahda e Rabaa al-Adawiyah.
Le fonti ufficiali parlano al momento di 638 vittime, fra le quali una quarantina di poliziotti, e di 3.500 feriti, ma per i Fratelli Musulmani, che si riferiscono alle “loro piazze” come alla “loro Tienanmen”, i manifestanti uccisi sarebbero oltre 4.500.
La polizia ha rinvenuto nelle tende lasciate sulla piazza numerose armi da fuoco, ma è difficile concludere che sarebbero state usate se non in caso di scontri. Che, appunto, ci sono stati.
Probabilmente non sono state valutate tutte le ipotesi, soprattutto politiche, prima di dare il via al bagno di sangue, tant’è che  il vicepresidente Mohamed el Baradei si è dimesso dal suo incarico in quanto, come ha scritto nella sua lettera, “Mi è diventato difficile di proseguire ad assumere la responsabilità di decisioni con le quali non sono d’accordo”.
Forse una “fuga dalle proprie responsabilità”, come ha scritto il movimento Tamarrod, che aveva raccolto le 22 milioni di firme per chiedere l’allontanamento di Morsi, ma dietro al Premio Nobel per la Pace sono andati anche i vice premier Hossam Eissa e Ziad Bahaa El-Din.
La guerriglia iniziata al Cairo si è poi estesa anche ad altre città come Alessandria e in altri centri minori. Centinaia di sostenitori dei Fratelli musulmani hanno assaltato e dato fuoco al palazzo del governatorato a Giza come pure ad una ventina di chiese copte, accecati dall’odio verso i cristiani non tanto per motivi di fede, bensì perché il patriarca copto Tawadros II era apparso al fianco del generale Abdel Fattah al-Sissi, capo delle Forze armate, lo scorso 3 luglio, giorno del golpe che ha portato alla deposizione e all’arresto di Mohammed Morsi.
E’ caos, quindi. E l’Egitto è sull’orlo della guerra civile, perchè ora inizierà il tempo delle vendette. E perché le diplomazie occidentali non sono riuscite a far digerire ai sostenitori di Morsi il golpe del 3 luglio, perché sullo sfondo c’è un’altra guerra, tutta fatta di invidie e di ripicche, dei paesi del Golfo, i quali non possono accettare che il Qatar, finanziatore di Morsi e dei Fratelli Musulmani di tutto il mondo e persino di gruppi jihadisti, assuma la leadership dei paesi arabi, prendendo quel ruolo di intermediazione con l’Occidente da sempre appartenuto all’Egitto ed all’Arabia Saudita. Tant’è che se la tv qatariota panaraba al-Jazeera, ha preso in occasione degli scontri di questi giorni le parti dei Fratelli Musulmani, Emirati Arabi Uniti e regno di Bahrein hanno invece dichiarato il loro pieno sostegno all’azione repressiva della polizia: da Dubai è arrivata “comprensione per le misure sovrane prese dal governo egiziano che aveva mantenuto la massima moderazione negli ultimi tempi” e deplorazione per “l’insistenza dei gruppi politici estremisti a lanciare appelli alla violenza”. Il Bahrein ha dichiarato che “le misure prese in Egitto per ristabilire l’ordine rispondono alla richiesta dei cittadini di essere protetti dallo Stato”.
Da diverse parti, Obama compreso, è invece arrivato l’invito ad interrompere la repressione messa in atto dalle Forze di sicurezza, cosa che ha fatto esprimere all’attuale governo dell’Egitto disappunto e condanna in quanto, si legge in un comunicato, “L’Egitto si sta confrontando con atti terroristici contro le istituzioni del governo ed istituzioni vitali”.
Forse, più semplicemente, in un’era in cui le piazze sono facilmente infiammabili per la velocità con cui corrono le informazioni ed arrivano sugli smartphone do ognuno, è davvero arrivato il momento che si ponga fine alla poco pulita abitudine di sperimentare la politica internazionale nei teatri dei paesi stranieri, come sta anche avvenendo in Siria, sostenendo e procurando mezzi all’una o all’altra parte in nome di interessi propri.