Figuraccia degli Usa per l’affaire Snowden: eravamo tutti spiati. Intanto a Mosca…

di Enrico Oliari –

snowden grandeEdward Snowden doveva essere un grigio impiegato in un altrettanto grigio ufficio della Nsa, la National Security Agency degli Stati Uniti d’America. E forse è stato proprio l’eccessivo anonimato a cui era costretto il giovane 29enne alto, capelli chiari, barbetta incolta e due occhi spaesati celati da lenti ovali, a spingerlo a fare una “frittata” dalla portata internazionale, dove i rapporti diplomatici fra i paesi si sono ben presto trasformati in sospetti, stoccate ed isterismi globalizzati.
E’ successo che un bel giorno il grigio informatico della Nsa se ne è scappato a Hong Kong, portando con sé le prove dell’esistenza di un programma dei Servizi segreti statunitensi ideato per spiare i propri cittadini, un “grande fratello” silenzioso e discreto di cui il giovane era uno dei tanti tecnici. E non solo: in un mondo globalizzato, dove basta un click per spostarsi virtualmente in una frazione di secondo da una parte all’altra del pianeta, gli Stati Uniti avrebbero raccolto informazioni anche di ignari cittadini europei, come se non bastassero i sistemi informatici e le intercettazioni casalinghe a tenere tutti sotto controllo.
L’obiettivo del giovane informatico era quello di riparare in un paese che mai avrebbe concesso il suo espatrio negli Stati Uniti, che ancora lo stanno aspettando per farlo a fettine: la sua idea era l’Ecuador, che già sta ospitando da oltre un anno presso la propria ambasciata di Londra un altro diavolo del computer, il giornalista australiano Julian Assange, che con il suo Wikileaks ha pubblicato in rete ben 251mila documenti codificati come “confidenziali” e “segreti” degli Stati Uniti, facendo fare allo Zio Sam una prima figuraccia.
Subito da Washington è partita per la Cina, di cui Hong Kong è città a statuto speciale, la richiesta di estradizione del giovane Edward; tuttavia a Pechino, dove c’era e c’è ancora tutto l’interesse a che lo scandalo vada avanti, si è tergiversato, fino a lasciar partire l’informatico secondo il suo progetto: da Hong Kong a Mosca, da Mosca all’Avana, e dall’Avana a Quito, in Ecuador.
Furioso l’ex segretario di Stato Hillary Clinton, che se l’è presa con la Cina, colpevole, a suo dire, di non aver risposto positivamente alla richiesta di estradizione. “Questo tipo di azioni – ha detto la Clinton da Los Angeles – non solo sono dannose per i rapporti tra Stati Uniti e Cina, ma fissano anche un cattivo precedente”, che potrebbe avvalersi sugli “intricati accordi internazionali su come i Paesi rispettano le leggi, e in particolare i trattati di estradizione”.
Secca la risposta da Pechino, diffusa tramite l’agenzia ufficiale Nuova Cina: “Gli Usa, che a lungo hanno cercato di presentarsi come vittima innocente di cyber-attacchi, si sono rivelati i più grandi fuorilegge dei nostri tempi”.
Giunto a Mosca, all’aeroporto Sheremetyevo, Snowden si è visto annullare il passaporto dall’amministrazione del suo paese; si è trovato così in quella “terra di nessuno” che si trova fra le gates ed il punto di controllo dei documenti, la linea di confine della Russia. Da allora è lì, esattamente come Thomas Hank nel film di Stevens Spielberg “The Terminal”, in cui veste i panni di Viktor Navorsky, cittadino di un paese (l’immaginaria Krakhozia) nel quale avviene un colpo di Stato che comporta l’annullamento del suo passaporto e quindi l’impossibilità di oltrepassare la frontiera.
Le stoccate e le astuzie tra Stati Uniti e Russia, degne dell’epoca della Guerra Fredda, non si sono fatte attendere: il ministro degli Esteri sovietico… pardon, russo, Serghiei Lavrov, ha tirato indietro le mani, facendo intendere che la Russia non ha nulla a che fare con Snowden, che questi non ha commesso nessun reato da quelle parti e che “i tentativi di accusare la Russia di violare le leggi americane, (rappresentano) quasi in un complotto”.
Un primo silenzio e imbarazzo del presidente Obama hanno lasciato lo spazio all’intervento caustico del suo rivale alle presidenziali del 2008, il senatore repubblicano John McCain, il quale ha ribattuto: “Per i russi dire che Snowden non è nell’aeroporto di Mosca ricorda i giorni della Guerra Fredda, dove ogni bugia era per loro sufficiente”, per cui gli Stati Uniti “dovrebbero cancellare” le relazioni con la Russia. “Non so quali pressioni immediate possiamo fare oltre a quelle diplomatiche, Putin continua a mettere le dita nei nostri occhi”, è “un vecchio colonnello del Kgb”. D’altronde questo “è il prezzo da pagare” per una leadership “impotente”. Gli ha ribattuto da Mosca Alexiei Pushkov, capo della commissioni affari Esteri della Duma, la Camera bassa del parlamento, il quale ha fatto sapere attraverso Twitter che “Le minacce americane alla Russia e alla Cina sulla vicenda Snowden non porteranno ad alcun risultato tranne quello di avvicinare ulteriormente Mosca e Pechino”.
Intanto da Washington il Vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha posto un “altolà” al presidente ecuadoriano Raffael Correa, chiedendogli espressamente di non accogliere Edward Snowden; e, ubbidiente, Quito ha fatto sapere che “Snowden attualmente è nelle mani delle autorità russe. (…) Per formalizzare tale domanda di asilo, lui deve trovarsi in territorio ecuadoriano”.
Delusione, quindi, per il giovane informatico, il quale aveva appena prima lanciato un appello agli ecuadoriani via Twitter: “Popolo dell’Ecuador, twittate a Riccardo Patino (ministro degli Esteri dell’Ecuador) e persuadetelo a farmi entrare nel vostro Paese!”.
Ma per Mosca l’affaire Snowden si profila sempre di più come, politicamente parlando, un’inaspettata gallina dalle uova d’oro, specialmente se si pensa ai continui sgambetti fra i due paesi, come l’ormai celebre caso Magnitsky; così il senatore Ruslan Gattarov, a capo del gruppo di lavoro di indagine del Senato sul caso, che coinvolge parlamentari, diplomatici, magistrati e dirigenti della comunicazione, vorrebbe vederci chiaro sull’eventualità che negli Usa potrebbero essere stati spiati anche cittadini russi ed ha “Invitato Edward Snowden a lavorare con noi e speriamo che, appena definirà il suo status legale, collabori con il nostro gruppo di lavoro e ci fornisca prove dell’accesso delle agenzie di intelligence Usa ai server di aziende internet”.
Rifiutato dall’Ecuador e ricercato dagli Usa, a Snowden non è restato altro da fare che chiedere asilo proprio alla Russia (cosa che ha fatto anche all’Italia ed a altri 21 paesi, tra cui Austria, Germania, Francia, Norvegia, Finlandia, Brasile e Cina), ma per il leader del Cremlino, Vladimir Putin, il giovane deve “cessare il suo lavoro volto a danneggiare i nostri partner americani, non importa quanto strano suoni questo detto da me”. Strano lo è davvero… se l’ex colonnello del Kgb fosse stato di legno, dopo tale sortita si chiamerebbe Pinocchio!
Putin ha sottolineato più volte che Edward Snowden sta portando avanti una battaglia per i diritti e la libertà dell’Uomo e che per questo non potrà essere estradato negli Stati Uniti, dove per tali reati vige la pena capitale.
Tuttavia nelle ultime ore anche l’Europa unita è stata investita dal ciclone Snowden, non appena si è saputo che, oltre agli americani, la Nsa avrebbe passato al setaccio anche la vita ed i costumi dei cittadini di almeno altri 38 paesi, Italia compresa. Anzi, proprio nella nostra ambasciata a Washington la vi avrebbe addirittura piazzato cimici: la prima ad andare su tutte le furie è stata la vicepresidente della Commissione Ue e responsabile Giustizia, Viviane Reding, la quale ha dichiarato che “I partner non si spiano l’uno con l’altro” e, dal momento che sono in corso proprio in questi giorni le trattative per far partire lunedì prossimo il libero scambio delle merci tra Stati Uniti ed Unione europea, a chiosato dicendo che “Non possiamo negoziare un grande mercato transatlantico se c’è anche il minimo dubbio che i nostri partner fanno attività di spionaggio negli uffici dei nostri negoziatori”. Duro anche il presidente dell’Europarlamento, Martin Schulz, il quale ha chiesto agli Usa “un chiarimento completo”, altrimenti il caso potrebbe arrivare ad avere “un impatto grave sui rapporti”.
A loro ha risposto il Segretario di Stato John Kerry, che frescamente ha affermato: “Non è insolito” cercare informazioni sugli altri paesi.
Dall’Italia la reazione più dura è stata quella del ministro della Difesa Mario Mauro, il quale ha ammonito che se la nostra rappresentanza diplomatica fosse stata spiata, “i rapporti tra Italia e Usa sarebbero compromessi”: “Se siamo alleati, se siamo amici non è accettabile che qualcuno all’interno di questo rapporto si comporti come una volta faceva l’Unione Sovietica con i suoi paesi satelliti”.
Più moderato, ma non meno perentorio, il presidente Giorgio Napolitano: “Vedo una forte discussione tra istituzioni europee e amministrazione americana. E’ una questione spinosa che dovrà trovare risposte soddisfacenti”.
Dalla Tanzania, dov’era in visita, il presidente Barack Obama ha cercato di prendere il tempo necessario per uscire dallo scandalo “Datagate” con meno danni (anche di immagine) il possibile e, ribadendo che gli europei sono “tra i più stretti alleati degli Usa”, ha comunque rammentato che “tutti i servizi di intelligence, compresi quelli europei, cercano di capire quello che succede nelle varie capitali del mondo attraverso fonti che non siano solo quelle giornalistiche”; comunque “Forniremo agli alleati europei tutte le informazioni che vogliono riguardo alle accuse di spionaggio”. Vedremo.