Francia. La crisi in Niger vista da Oltralpe

di Francesco Giappichini –

Innanzitutto il contrasto alla Jihad islamica, eterodiretta non solo da al-.Qaeda, ma anche dallo Stato Islamico. E poi la lotta alla tratta di persone per interrompere, ça va sans dire, i flussi migratori dall’Africa subsahariana. Infine le ragioni economiche, che ruotano attorno alla multinazionale energetica Orano, e ai suoi giacimenti di uranio, destinati alla produzione di energia nucleare. Sono questi i vincoli principali che legano Francia e Niger: i motivi che spiegano perché il golpe di questi giorni, non solo ha catalizzato l’interesse dei media francesi, ma ha anche diviso l’Assemblée nationale tra diverse visioni della politica estera. Così Jean-Luc Mélenchon, leader della formazione di sinistra La France insoumise (Lfi), è convinto che il golpe dovrebbe portare la Francia a ripensare la sua strategia nell’area.
Intanto un passo indietro. Parigi è ancora presente militarmente nel Paese: si contano 1500 effettivi, cui verrebbero affidate solo «missioni antiterrorismo», secondo il ministre des Armées, Sébastien Lecornu. Così al momento – e dopo i ritiri da Mali, e Burkina Faso – Parigi dispone nel Sahel di 2500 uomini: ai 1500 militari in Niger, si aggiungono i 1000 che compongono il contingente in Ciad. (Le Forces spéciales – Fs impegnate nell’Operation Sabre hanno lasciato Ouagadougou, la capitale burkinabé, in gennaio). Andiamo però con ordine. Come anticipato, il contingente in Niger – dopo la fine dell’Operazione Barkhane in Mali, nel novembre ’22 – è il perno del sistema anti-jihadista transalpino nel Sahel.
Erano frequenti le operazioni congiunte con l’esercito locale, e si può supporre che Parigi non rinunci facilmente a questo bastione contro il jihadismo. Intanto il citato ministro della Difesa, Lecornu, ha rimarcato che la situazione non è «stabilizzata», e nulla è per ora deciso sul futuro della cooperazione militare franco-nigerina. Una presenza militare, va da sé, impiegata anche nella gestione dei flussi migratori: «Questo colpo di stato contro le Autorità nigerine democraticamente elette, con cui il nostro Paese stava cooperando per combattere il terrorismo e la tratta di esseri umani, è una minaccia per la sicurezza della Francia, ma anche del continente europeo», ha dichiarato Stéphane Séjourné, segretario generale del partito «macronien», Renaissance.
Se comunque Parigi non mollerà l’osso nigerino, lo si dovrà principalmente agli interessi economici. Beninteso, poche aziende francesi sono presenti in Niger, ma ce n’è una d’importanza strategica per l’Eliseo, il gruppo minerario Orano: controllato dallo Stato francese, impiega quasi 900 dipendenti, e gestisce in loco siti minerari di uranio. Il giacimento di Somaïr (Société des mines de l’Aïr) – sulla base di un accordo del maggio ’23 tra il gruppo e il governo deposto di Niamey – dovrebbe essere sfruttato sino al ’40. Un altro sito (Compagnie minière d’Akouta – Cominak) è invece chiuso, e oggetto di un progetto di riqualificazione. Infine sono in corso studi sul sito minerario (sinora non sfruttato) di Imouraren: uno dei più grandi giacimenti di uranio al mondo. Secondo quindi la Comunità europea dell’energia atomica (Ceea o Euratom), il Niger è il terzo maggior fornitore di uranio alla Francia (dopo Kazakistan e Australia), e contribuisce al 19% delle sue importazioni, (i dati sono però aggiornati al ’20). Il gruppo Orano fa comunque notare che il metallo proveniente «dal Niger copre meno del 10% dell’uranio utilizzato nelle centrali nucleari francesi».