
di Daniela Binello –
L’Unione Europea stanzierà una parte cospicua dei fondi che occorrono alla ricostruzione di Gaza, stimata in oltre 50 miliardi di dollari. “Saremo una forza attiva all’interno del gruppo dei donatori”, ha scritto su X la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, mentre il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, rappresentava l’Ue il 13 ottobre scorso in Egitto. Ora l’attenzione si sposta chi, fra i leader europei, parteciperà alle prossime fasi del Piano Trump per la governance transitoria della Striscia, affidata a un Comitato palestinese di tipo amministrativo.
L’Europa è già il principale donatore dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) in Cisgiordania. Oltre a contribuire alla ricostruzione di Gaza, Antonio Costa ha affermato che l’Ue parteciperà anche alle operazioni per garantire la sicurezza. A questo proposito il Piano Trump prevede l’istituzione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) da dispiegare a Gaza, coordinata tra Stati Uniti, Paesi arabi e altri partner internazionali.
Fra i primi a farsi avanti, Emmanuel Macron, che ha dichiarato che la Francia è pronta a contribuire, nell’ambito dell’ISF, per addestrare ed equipaggiare le forze di sicurezza palestinesi. Nel frattempo, però, il presidente francese affronta l’ennesima crisi di governo, il che potrebbe rendere un po’ più complicate le cose.
Resta ancora da definire, alla base di tutto, uno degli aspetti più importanti e delicati del Piano Trump: imporre il disarmo di Hamas, contro la sua volontà, cosa che rappresenta dei rischi enormi per i Paesi europei eventualmente partecipanti a tale operazione sul terreno. Un’opzione più soft sarebbe quella d’inviare delle truppe al solo scopo di monitoraggio, come quelle che sono dispiegate al confine tra Israele e il Libano.
Intanto, secondo la stampa britannica, sul nome di Tony Blair, indicato per un ruolo di primo piano nel Board for Peace (Consiglio per la Pace) per Gaza, non c’è accordo tra tutti i gruppi e i movimenti che rappresentano i palestinesi.
Blair ha ricevuto l’endorsement dell’ANP durante un incontro che si è tenuto domenica 12 ottobre ad Amman con Hussein al-Sheikh, vicepresidente dell’ANP e capo del Comitato esecutivo dell’Olp. Ma sebbene Blair fosse presente a New York agli incontri con i leader arabi a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu, che hanno aperto la strada al documento in venti punti di Trump per Gaza, l’incontro di Blair in Giordania è stato l’approccio più importante con cui l’ex leader dei laburisti ed ex premier britannico ha sondato il suo possibile nuovo ruolo con la leadership palestinese.
Hamas, esclusa da un futuro ruolo nel governo di Gaza, è però fortemente contraria a un coinvolgimento di Blair e all’idea di un Consiglio transitorio che agirebbe da “cane da guardia straniero” a Gaza.
Per ora Blair cerca di mantenere un profilo basso e sceglie di lavorare lontano dai riflettori, anche se lo si è visto raggiante mentre posava al fianco di Donald Trump al vertice di Sharm el-Sheikh. Era stato proprio Trump, infatti, a indicarlo come potenziale leader del Board of Peace, salvo avere poi dei repentini ripensamenti, sull’onda del suo carattere bizzoso.
Il presidente americano potrebbe essere preoccupato per la popolarità che ha Blair nella regione. Parlando con i giornalisti sull’Air Force One che lo portava in Israele, Trump non è più sembrato così certo di volere Blair nel Board of Peace. “Mi è sempre piaciuto Tony, ma voglio scoprire se sarebbe popolare tra tutti perché questo non lo so ancora”, ha affermato il tycoon, gettando ombre sul futuro dell’ex leader laburista, inviato speciale del Quartetto, che resta una figura controversa in Medio Oriente per il ruolo che ebbe nella guerra in Iraq.
Nel frattempo, Germania, Francia e Regno Unito, noti come i Tre Europei (E3), vorrebbero un loro rappresentante nel Consiglio per la Pace, ma finora nessuno di loro è ancora stato invitato. “Ci sono molti candidati”, ha dichiarato l’inviato statunitense per il Medio Oriente, Steve Witkoff, in una conferenza stampa in Egitto, dopo che a Trump era stato chiesto se il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi sarà della partita.
E’ noto inoltre che Israele porrà delle riserve sull’accettazione di un rappresentante francese o britannico nel Consiglio, dal momento che entrambi i Paesi hanno riconosciuto unilateralmente lo Stato palestinese.
Ecco allora che Trump potrebbe giocare il suo jolly nella manica e per l’Italia potrebbe aprirsi una reale possibilità. Il governo Meloni, del resto, si è mostrato molto cauto e tra i più favorevoli nei confronti di Israele. Ma se l’Italia e il resto dei Paesi europei vogliono un posto d’onore al tavolo del Board of Peace un prezzo da pagare c’è: quello di rimuovere qualsiasi ipotesi di sanzioni contro Israele.











