Giappone. Cresce la domanda di energia, Abe ricicla i reattori di quarant’anni fa

di C. Alessandro Mauceri​ –

fukushimaChe la necessità di approvvigionarsi di risorse energetiche sia diventata una priorità per tutti le nazioni non è una novità. Ciò che sorprende però è il livello di sicurezza (basso) che molti Paesi stanno dimostrando di essere disposti ad accettare pur di avere più energia.
Dopo l’”incidente” di Chernobyl (il termine corretto sarebbe “disastro”), negli anni scorsi un altro incidente in una centrale nucleare riempì le prime pagine dei giornali di tutto il mondo: quello della centrale giapponese di Fukushima Dai-ichi. Un disastro le cui conseguenze per l’ambiente e per la salute dei cittadini non sono ancora state valutate appieno (non a caso la Tokyo Electric Power Company, la Tepco, nel 2011, annunciò di avere stabilito nuovi standard per risarcire le persone colpite dal disastro nucleare).
Intanto, però, lo scorso anno il primo ministro giapponese era venuto meno alle promesse fatte di chiudere con il nucleare e aveva autorizzato la sua riapertura.
Sono passate poche settimane dalla sua rielezione (ottenuta anche se con un’affluenza alle urne che ha toccato il minimo storico del 52%) e, proprio ieri, il premier Shinzo Abe ha comunicato l’intenzione del governo non solo di riprendere la produzione di energia nucleare, ma di volerlo fare utilizzando anche reattori ormai obsoleti e vecchi di oltre quarant’anni. Inutile dire che una simile decisione comporterà un aumento dei rischi di incidenti nucleari nel caso di terremoti o di tsunami anche di dimensioni ben minori rispetto a quello storico che ha provocato il disastro della centrale di Fukushima.
La Kansai Electric Power (Kepco), ha comunicato di voler utilizzare i due reattori della centrale nucleare di Takahama vecchia di oltre 40 anni, per fornire energia alla zona di Osaka e del Kansai (zone molto ricche e che consumano un’elevata quantità di energia). Eppure, solo pochi mesi fa, pareva che queste vecchie centrali dovessero essere destinate allo smantellamento. Contemporaneamente è stato preannunciato che, sempre per far fronte alla richiesta di energia, saranno riavviati due reattori di Sendai, nell’isola meridionale di Kyushu, che hanno già ricevuto l’autorizzazione da parte dell’Authority sulla sicurezza e degli enti locali.
Tutto ciò in deroga alla norma che, dopo l’incidente di Fukushima, aveva imposto che la vita utile delle centrali non doveva superare i 40 anni. Il Giappone, che da decenni ricorre al nucleare come fonte primaria di approvvigionamento energetico, dopo l’incidente di Fukushima era stato costretto a chiudere ben 48 reattori potenzialmente pericolosi proprio a causa della tecnologia utilizzata ormai obsoleta e dell’età degli impianti. E ben sette di questi hanno circa 40 anni: come, ad esempio, il reattore n.1 e 2 di Takahama, nella prefettura di Fukui, che sono entrati in funzione intorno alla metà degli anni Settanta. Attuare le procedure per ammodernarli era considerato, almeno fino a oggi, eccessivamente costoso per raggiungere livelli di sicurezza almeno sufficienti come quelli previsti dalla legge.
Ora che la richiesta di energia sia per la produzione industriale che per il settore civile continua a crescere e che i costi delle centrali termiche alimentate dai combustibili fossili continuano a crescere (la Kepco ha chiuso il 2014 in perdita per il quarto anno di seguito), queste spese non sono più considerate eccessive. Per questo motivo, il governo ha deciso di modificare la legge e di riavviare o di non chiudere le vecchie centrali nucleari.
Accettando però, in questo modo, il rischio di nuovi incidenti di dimensioni globali.