Gibuti. Ump saldo al potere

di Valentino de Bernardis –

Proclamati i risultati ufficiali delle elezioni legislative tenute lo scorso 23 febbraio a Gibuti. Previsioni ampiamente rispettate, e non c’era motivo di dubitarne. La coalizione di governo Union pour la Majorité Présidentielle (UMP), espressione del presidente Omar Guelleh, si è confermata saldamente alla guida del paese. Con la conquista di 58 seggi sui 65 disponibili, è anzi persino riuscita a fare meglio del 2013, quando ne aveva ottenuti 55.
Vittorie cosi larghe sono sempre sintomo di una debolezza strutturale dell’apparato democratico, dove alla mancanza di trasparenza si sommano le carenze delle garanzie minime per l’opposizione. Nel caso specifico gibutiano i due fattori chiave, se vogliamo anche in relazione tra di loro, sono una legge elettorale discutibile e boicottaggio di parte dell’opposizione.
Dal 2013 il paese vota con un sistema misto, in cui l’80% del parlamento è eletto attraverso liste bloccate in un maggioritario plurinominale, mentre il restante 20% su base proporzionale (con il metodo d’Hondt) da spartirsi tra i partiti che hanno ottenuto oltre il 10% delle preferenze. Un sistema elettorale concepito per obbligare i vari soggetti a cercare alleanze ad ogni costo, ma mentre questo rimane un compito molto più facile per la colazione UMP desiderosa di mantenere lo status quo, molto più difficile è per le opposizioni.
La frammentazione dei partiti di opposizione è stata dimostrata in ultimo dalla decisione non condivisa di boicottare il voto in segno di protesta. Un fronte spaccato in due, con una parte a guida dell’Union pour le Salut National (USN) decisa a non scendere a patti e a non partecipare alla tornata elettorale (ricordiamo come nel 2013 riuscì a far eleggere 10 deputati), e dall’altra la nuova coalizione UDJ-PDD che decisa a prendere parte al voto, è riuscita ad ottenere solamente sette seggi. Una frattura fatale, da cui l’unica vincitrice è stato solo l’UMP, che in tre distretti elettorali di primissima importanza (Dikhil, Obock e Arta dove erano in palio 18 seggi) non ha avuto competitori.
Quale potrà essere l’apporto dei sette deputati UDJ-PDD all’attività parlamentare è difficile da capire, se non quello di dare un’apparenza di democraticità ad un sistema che invece sembrerebbe essere sempre più autoritario con tendenze dinastiche (il predecessore dell’attuale presidente fu lo zio Hassan Gouled Aptidon che ha guidato il paese dall’indipendenza al 1999).
Una palese debolezza delle istituzioni democratiche di cui però nessuno sembra interessarsi a livello internazionale. La competizione internazionale sino-statunitense (e parzialmente europea), in un’area calda in prossimità del canale di Suez, ha reso contrattabile anche alcuni valori che in altre parti del mondo non sembrano esserlo. L’importanza strategica geopolitica del paese, acquista negli ultimi anni come scalo marittimo commerciale e militare, ha permesso al presidente Guelleh un’ampia agibilità politica nelle questioni interne al paese, e non solo.
A riprova di ciò, l’adozione di decisioni difficili e azzardate in campo economico-diplomatico, anche in prossimità della delicata fase elettorale che si apprestava ad attraversare. Risale difatti a fine febbraio la decisione inaspettata di nazionalizzare il porto Doraleh Container Terminal (DCT) controllato con una concessione della durata di trenta anni, iniziata nel 2006, dagli Emirati Arabi attraverso la DP World. Una presa di posizione forte e di cui vi saranno certamente ripercussioni nel medio periodo, ma che ben dimostra la forza crescete del piccolo paese africano, e di riflesso del suo presidente Guelleh.

Le opinioni espresse in questo articolo sono a titolo personale.
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