Gli Stati uniti d’Africa, un sogno non ancora tramontato

di Davide Delaiti –

Il 21 gennaio il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, dopo l’incontro con il presidente del Benin, Thomas Boni Yayi (anche presidente uscente dell’Unione Africana) ha rievocato il sogno degli Stati Uniti d’Africa. Egli ha affermato: “Come genti africane, non siamo ancora riusciti ad integrarci in una reale unione (…) purtroppo non abbiamo ancora realizzato i sogni dei padri fondatori dell’organizzazione. (…). La nostra visione deve essere quella di rafforzare l’unità e la stabilità del nostro continente perché senza questa non potremo mai sperare di imboccare quella via di prosperità e modernità necessaria per migliorare le condizioni delle nostre genti”.
In realtà Mugabe non ha affermato nulla di nuovo o di innovativo e l’ambizioso progetto degli Stati Uniti d’Africa, e cioè di creare un continente dotato di un unico governo, di un’unica moneta, e di un proprio apparato militare e difensivo, ha radici profonde.
Humus ideologico e storico dei cosiddetti “Usa II” (United States of Africa, come li definì Gheddafi) è il panafricanismo, un’ideale che volle promuovere l’unità dell’Africa attraverso la diffusione di un messaggio di solidarietà e volto all’eliminazione della cultura della subordinazione e della dipendenza delle genti africane creata in due secoli di storia. Fu un movimento che incarnò una volontà emancipatrice non solo politica, ma anche economica e culturale e che tentò di restituire agli africani un paese a loro negato. I movimenti panafricani avevano iniziato a diffondersi nell’Ottocento ed erano nati come reazione alle pratiche schiavistiche che avevano investito soprattutto le coste dell’Africa Occidentale, e avevano invitato le genti africane a ribellarsi e a lottare per i diritti a loro negati. Gli ideali del panafricanismo si erano rafforzati nel Novecento a seguito delle politiche repressive, discriminatorie e razziste delle amministrazioni coloniali che avevano messo in ginocchio il continente nero. L’unica soluzione agli effetti socialmente regressivi delle potenze europee era stato quello di opporre un progetto, seppur ambizioso per l’epoca, di Unità africana. Questa venne proposta per la prima volta negli Anni sessanta, dopo il cosiddetto “Anno dell’Africa” (1960, anno in cui sedici stati africani conseguirono l’indipendenza), dal presidente ghanese Nkrumah, baluardo della lotta al colonialismo, in occasione della fondazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana nel 1963. L’ideale panafricano di Nkrumah però non riscosse consenso tra i capi di Stato africani, soprattutto per ragioni storico-politiche. L’istituzione di un governo continentale, di una moneta, di una banca centrale, di una cittadinanza africana e di un sistema di difesa collettivo avrebbe comportato inevitabilmente la rinuncia alla sovranità statale, tanto duramente conquistata con l’indipendenza. I neogoverni africani non erano disposti ad un simile sacrificio e il risultato fu la creazione di un’organizzazione, l’Oua, incatenata nella sua azione al principio della non-ingerenza negli affari interni degli stati.
Il sogno panafricano venne nuovamente rievocato circa quarant’anni dopo, nel 1999 a Sirte (Libia), quando venne annunciata la trasformazione dell’Oua nell’Unione Africana (ufficializzata nel maggio del 2001).  Il dittatore libico Muhammar Gheddafi, il quale aveva sottolineato l’impellente necessità di presentare al mondo un’ Africa unita, più solida e più forte, che fosse fautrice del proprio destino e autonoma nella risoluzione delle proprie problemi, non fu però appoggiato. La credibilità di questo progetto era compromessa agli occhi dei capi di Stato africani: fu chiaro che l’ideale panafricano rappresentasse per il dittatore solo un premio di consolazione rispetto all’irrealizzato obiettivo di porsi a capo degli stati arabi attraverso un disegno panarabo. La nobile visione dell’Unità africana sarebbe stata più che altro concepita come un trampolino per rilanciare la sua Libia a livello internazionale e porla quale unico intermediario tra le grandi potenze mondiali e il continente africano.
L’Organizzazione dell’Unità Africana e l’Unione Africana furono entrambe il risultato di un compromesso ideologico e storico tra leader che avevano proposto la creazione degli Stati Uniti d’Africa e altri che si dimostrarono forse più realisti e meno “romantici” e che ritenevano l’Africa incapace di camminare con le proprie gambe. È però importante ammettere che dei passi avanti sono stati compiuti: l’operatività dell’Unione Africana, che non ruota attorno ad un principio di non ingerenza (come l’Oua) ma alla quale è concesso l’intervento nelle zone di conflitto, esprime la volontà dei leader africani di raggiungere un’autonomia politica tanto ambita e di liberarsi finalmente di una costante dipendenza da forze extra africane, soprattutto nella risoluzioni delle crisi. 
Le affermazioni del presidente Mugabe manifestano un senso di impotenza e sono evidentemente conseguenti alla situazione in Mali, ennesima dimostrazione che sia impossibile applicare il principio dell’“African solutions to African Problems”.  Allo stesso tempo però le sue parole testimoniano quel sentimento di rivalsa, di autonomia, di emancipazione politica ed economica che dopo anni di storia non si è ancora spento.