Il prezzo della democrazia: nel sangue le elezioni in Pakistan. Ma il popolo ha votato entusiasta

di Enrico Oliari –

pakistan elezioni grandeIncastonato fra l’Iran, l’India, la Cina, l’Afghanistan ed il mar Arabico, il Pakistan è il sesto paese più popoloso del mondo, con oltre 180 mln di abitanti, suddivisi in 4 province (Belucistan, capoluogo: Quetta; Khyber Pakhtunkhwa, capoluogo: Peshawar; Punjab, capoluogo: Lahore; Sindh, capoluogo: Karachi), in tre territori (Territorio della capitale, tra Punjab e Sarhad; Aree tribali sotto amministrazione federale, Nord e Sud Waziristan), nelle parti delle provincie dell’Azad Kashmir (Muzaffarabad) e dei Territori del Nord all’estremo nord.
La capitale è Islamabad, che non arriva a 700mila abitanti, mentre Kharaci supera abbondantemente i 15 mln di residenti.
Sabato i pachistani sono stati chiamati alle urne per rinnovare l’Assemblea nazionale, composta da 342 deputati, e quattro Assemblee provinciali: alle urne una buona parte degli 89 mln di elettori, i quali hanno esercitato il loro diritto di voto in 70mila seggi protetti da 600mila uomini delle Forze di sicurezza.
Si è trattato di un appuntamento molto atteso ed importante anche perché più della metà della storia di 66 anni del paese, da quando divenne indipendente, è stata caratterizzata da un susseguirsi di dittature e di colpi di Stato.
Dal 2008 è presidente Asif Ali Zardari, vedovo del capo dell’opposizione Benazir Bhutto, uccisa l’anno prima in un attentato dopo una manifestazione nella città di Rawalpindi, dove sono rimaste a terra senza vita altre venti persone.
L’informatizzazione dell’anagrafe nazionale ha permesso di iscrivere alle liste elettorali 40 mln di nuovi elettori e di cancellarne 35 di inesistenti, mentre dei numerosi partiti che si sono presentati per la competizione solo tre sembrano potersi affermare: il Partito del popolo pachistano (Ppp, al governo per cinque anni), la Lega musulmana pachistana Nawaz (Pml-N, oggi all’opposizione), guidata dall’ex premier Nawaz Sharif e il Movimento pachistano per la giustizia (Pti) dell’ex campione di cricket Imran Khan.
L’ex presidente Pervez Musharraf, capo della Lega musulmana Q e rientrato nel paese per concorrere alle elezioni, è al momento agli arresti con l’accusa di alto tradimento e il sospetto di essere coinvolto nell’attentato a Benazir Bhutto.
Per quanto ancora non si conoscano i dati ufficiali, vincitore sembra essere Nawaz Sharif, ex magnate dell’acciaio e già due volte premier. Sharif ha insistito nella sua campagna elettorale per la revisione della cooperazione con gli Stati Uniti, anche perché vi è risentimento nell’opinione pubblica sia per le basi concesse nella guerra contro i talebani dell’Afghanistan, sia per le numerose vittime civili degli aerei drone, usati per colpire i terroristi rifugiatisi in Pakistan, ma troppo spesso dalla mira poco intelligente. Anche fino allo scadere della campagna elettorale, Sharih ha arringato la folla dichiarando che “Se ci darete cinque anni di governo, riusciremo a cambiare le sorti del nostro paese”.
Più sfortunato Imran Khan, leader del Movimento per la Giustizia, ricoverato in ospedale in seguito alla caduta da un montacarichi da 5 metri di altezza: “Che Dio non mi porti via da questo mondo finché non avremo costruito un nuovo Pakistan”, ha dichiarato.
Purtroppo è continuata la triste catena di attentati in Pakistan, come promesso dai talebani del Ttp (Tehrik-e-taleban Pakistan), i quali vedono nella democrazia un male dell’Occidente e che stanno facendo di tutto per tenere gli elettori lontani: dopo i numerosi fatti di sangue dei gironi scorsi, anche ieri, giornata in cui si è svolta la tornata elettorale, sono ripresi gli attentati verso i seggi e verso i candidati: i morti sarebbero una quarantina.
Almeno 12 persone sono state ferite in un’esplosione vicino a un seggio elettorale riservato alle donne a Peshawar, nel nord ovest del Pakistan; notizie di un’altra esplosione arrivano da un seggio situato nella provincia di Khyber-Pakhtunkhwa; nel distretto di Swabi, nella provincia nord occidentale di Khyber Pakhtunkhwa, sono stati uccisi dallo scoppio di una bomba a mano due volontari del partito laico pashtun Awamy National Party (Anp); sconosciuti hanno sparato ed ucciso Shakil Ahmed, un candidato indipendente nella zona di Landhi, nella provincia di Sindh.
A Karachi un candidato del partito laico Awami National Party (Anp), Amanullah Mehsud, è stato vittima dello scoppio di una bomba nascosta in un parcheggio dell’area di Dawood Chorang: nella deflagrazione sono morte undici persone, mentre Mehsud è riuscito a salvarsi.
Al momento sono oltre 150 le vittime degli attentati che stanno scuotendo il Pakistan da un mese ad oggi; tre giorni fa è stato rapito il figlio dell’ex premier Yusuf Raza Gilani.
Nonostante le minacce e le continue notizie di fatti di sangue, la popolazione pachistana è sembrata essere entusiasta della possibilità di partecipare alle prime vere elezioni democratiche del paese, tanto che fin dal mattino si sono manifestate lunghe code ai seggi e l’afflusso alle urne è statao nettamente superiore a quello delle precedenti elezioni, che era del 44%; l’unica regione dove vi è stata una partecipazione più contenuta è il Beluchistan, teatro di forti violenze settarie.
Il capo ufficio del New York Times a Islamabad, il britannico Declan Walsh, di 39 anni, è stato espulso dal paese per non meglio specificate “attività indesiderabili”; il direttore esecutivo del quotidiano, Jill Abramson, ha quindi scritto una lettera aperta al ministro pachistano degli Interni, Malik Habib Khan, con la quale ha spiegato che “Zittire i giornalisti priverà i lettori di trasparenza sull’andamento del voto e sulle violenze della campagna elettorale. Il pubblico non potrà leggere dell’estensione della rete di nepotismo in Pakistan, di cui aveva parlato Walsh questo mercoledì. Ma forse il punto è proprio questo”.