Il processo a Dodik, leader dei serbo bosniaci: ulteriore impasse per il futuro europeo della Bosnia-Erzegovina?

di Lorenzo Pallavicini

E’ iniziato a Sarajevo il processo contro Milorad Dodik, il presidente della repubblica Srpska, accusato di non rispettare le decisioni dell’Alto rappresentante Onu in Bosnia, de facto la massima autorità del paese, un ruolo derivante dagli storici accordi di Dayton del 1995 e che videro in tale figura, estranea alle etnie locali, la possibilità di una autorità di mediazione tra fazioni che ancora faticano a condividere la governance del paese.
Dodik aveva promulgato la scorsa estate due leggi approvate dal parlamento locale e annullate dall’Alto rappresentante, il tedesco Schmidt, osteggiato dai russi anche presso il Consiglio di Sicurezza ONU. Le leggi stabilivano che le sentenze della Corte Costituzionale della Bosnia-Erzegovina e le decisioni dell’Alto rappresentante non sarebbero state applicate nell’entità serba.
Tali provvedimenti sono stati annullati ed è stato introdotto nel codice penale bosniaco un nuovo reato da parte di Schmidt, quello di mancata osservanza delle decisioni dell’Alto rappresentante, una legge ad hoc che ha permesso alla procura di Sarajevo di portare alla sbarra Dodik.
Tale processo da parte serba è visto come l’ennesimo di una lunga serie iniziata da quando venne istituito, tramite la risoluzione 827 del consiglio di sicurezza ONU, il tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia.
Tale istituzione non è mai stata vista come imparziale dai serbo bosniaci, avendo condannato in modo netto tutti gli imputati di parte serba mentre invece sono stati assolti alcuni eccellenti imputati croati o bosniaci, compresi elementi come il generale Ante Gotovina, coinvolto nell’ operazione Oluja che nel 1995 vide la espulsione forzata dei serbi di Croazia dalla repubblica croata, un esodo di oltre 200.000 persone ed in cui vi furono episodi di pulizia etnica a danno dei serbi.
I precedenti nei tribunali vedono una sorta di pregiudizio da parte dei serbi di Bosnia a lasciarsi giudicare dalla corte di Sarajevo. Dodik stesso ha chiaramente fatto intendere di non riconoscere tale autorità, alimentando così ulteriori tensioni nel paese.
A fari spenti, potrebbe inserirsi un attore molto scomodo per gli interessi occidentali in Bosnia, ovvero la Federazione Russa. Da tempo i legami tra Dodik e i russi sono molto stretti, e persino nei momenti di maggiore pressione occidentale il leader serbo bosniaco ha sempre posto il veto a possibili sanzioni contro la Russia, non perdendo occasione di ricordare lo storico legame tra serbi e russi, in barba a ogni raccomandazione comunitaria.
Dall’inizio del conflitto russo ucraino, l’Unione Europea si sta muovendo con più vigore per arrivare all’obiettivo di inserire tutti i Balcani, compresa la Bosnia, all’interno della Unione, una mossa che potrebbe ridurre molto l’influenza del Cremlino in tutta l’area.
Tuttavia, le antiche diffidenze e i rancori della parte serbo bosniaca verso la NATO e l’Occidente, che appoggiarono la fazione musulmano croata durante le guerre balcaniche degli anni Novanta, possono essere un duro ostacolo da abbattere. Il legame assai stretto con il regime putiniano appare di difficile conciliazione con un futuro ingresso della Bosnia in una UE che cerca il più possibile di rompere i legami con la Federazione Russa e in cui non può esserci spazio per nuovi “trojan horse” simpatizzanti per il Cremlino.
Il processo, a prescindere dall’esito, può segnare un ulteriore distacco tra le due entità della Bosnia e mettere a rischio la riconosciuta autorità dell’Alto rappresentante, sia in caso di assoluzione, che verrebbe contestata dai musulmano bosniaci, sia in caso di colpevolezza e carcerazione di Dodik, con i serbi pronti forse a qualcosa in più rispetto alle manifestazioni di protesta che vi sono state in queste settimane nel paese, se vi fosse un possibile appoggio in sottofondo di Mosca.