Il25mo anniversario dello Statuto di Roma e la Guerra in Ucraina

di Maurizio Delli Santi * –

A 25 anni dalla sottoscrizione dello Statuto di Roma, che ha posto le basi alla Corte penale internazionale, è bene che gli ultimi scettici riconsiderino il ruolo che la giustizia penale internazionale sta assumendo nel conflitto in Ucraina. Si sta dando un senso compiuto allo sdegno dell’umanità di fronte ai crimini di guerra, e si potrà definire un percorso per i negoziati di pace che non si riveli una “resa incondizionata” di un popolo aggredito.

Il 17 luglio 1998, a Roma, la Conferenza diplomatica che riuniva i rappresentanti di 160 Stati approvava lo Statuto della Corte penale internazionale (Cpi), con 120 voti a favore su 148 Stati votanti. Entrato in vigore il 1° luglio 2002 al raggiungimento delle ratifiche necessarie (l’Italia vi aveva provveduto con la legge 12 luglio 1999 n. 232, G.U.del 19 luglio 1999 n. 167, S.O.), lo Statuto di Roma ha raccolto l’eredità di un percorso che va dalle Convenzioni dell’Aja e di Ginevra al Trattato di Versailles del 1919, per giungere allo “spirito di Norimberga” e ai Tribunali per la ex Jugoslavia e il Ruanda. Sull’idea di superare comunque i limiti dei tribunali ad hoc, costituiti nell’emergenza e con un quadro giuridico ancora non definito, è sorto il modello dello Statuto di Roma, che ha posto le basi per una giurisdizione a carattere universale e permanente chiamata a perseguire i crimini di genocidio (art.6), i crimini contro l’umanità (art.7) e i crimini guerra (art. 8). Dopo la Conferenza di Kampala del 2010, la Corte ha esteso la competenza anche sull’ aggressione (art.8-bis), ovvero l’attacco illegittimo contro la sovranità degli Stati, in violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite.
La Corte interviene sulla base del principio di complementarietà, ovvero qualora gli Stati “non vogliano o non possano” giudicare i colpevoli, per unwillingness, «difetto di volontà» o per inability, «incapacità dello Stato». Non operano prescrizioni, né immunità, ma sono previsti diversi caveat per il Prosecutor, la cui azione in alcuni casi può essere ritardata o bloccata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Tra le 123 Nazioni che hanno aderito al sistema della Corte non figurano la Russia – che pure aveva sostenuto e approvato lo Statuto – la Cina, ma anche Israele e soprattutto gli Stati Uniti. Inoltre, non può sottacersi lo scetticismo sull’idea stessa di giustizia penale internazionale che molti vorrebbero confinare in un mondo ideale, mentre la realpolitik imporrebbe nei fatti altre misure. Il pregiudizio riguarda anche la convinzione che la giustizia internazionale può contrastare i percorsi per la pace, specie in una guerra in corso. Ma con il conflitto in Ucraina sono emerse altre prospettive: le distanze tra gli attori sull’avvio di negoziati e la brutalità della condotta della guerra hanno indotto gli Stati a riaffermare le regole fondative del diritto internazionale. Da qui la scelta di difendere un popolo vittima di una guerra di aggressione – intrapresa in aperta violazione della Carta delle Nazioni Unite – e di sostenerlo non solo con l’aiuto armato ma anche con gli altri strumenti che portano all’isolamento internazionale dell’aggressore: dalle Risoluzioni di condanna dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fino alle sanzioni economiche e ai processi della Corte penale internazionale.
La svolta si è avuta con la scelta compiuta da un gruppo di 40 Stati – con in testa la Lituania, l’Italia e tutti gli altri paesi dell’Unione europea – che hanno voluto dare forza e legittimazione al procuratore della Corte: ai sensi dell’articolo 14 dello Statuto, hanno promosso il referall, l’atto d’impulso con la richiesta di indagare nel conflitto in Ucraina su ogni atto che integri non solo crimini di guerra, ma anche crimini contro l’umanità e il genocidio. Il 17 marzo 2023 su richiesta del Prosecutor la Camera preliminare della Corte penale dell’Aja ha emesso nei confronti del presidente Putin e della commissaria per i Diritti dei minori Maria Lvova-Belova i primi mandati d’arresto con l’accusa di deportazione e trasferimento illegale di minori ucraini dalle zone occupate dell’Ucraina alla Federazione russa, in violazione dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera a), punto vii), e dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), punto viii), dello Statuto di Roma.
Le polemiche sulla difficoltà di dare esecuzione al provvedimento ovviamente sono state scontate, ma possono non avere molto senso: Putin si sta interrogando se potrà andare al vertice di Brics (il forum tra Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) previsto in Sudafrica dove lo Statuto è stato ratificato e quindi rischia l’arresto, e anche l’ipotesi di regime change non appare più remota dopo la rivolta di Prigozhin e le titubanze di vari generali.
Una parte della comunità internazionale vorrebbe procedere anche per il crimine di aggressione, il leadership-crime che si è delineato a monte nella irresponsabile scelta dei vertici della Federazione Russa di violare la sovranità dell’Ucraina. Per superare gli attuali limiti della Corte nello specifico contesto (nella sostanza, occorrerebbe una determinazione dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove siede la Russia con potere di veto), Zelensky ha promosso l’idea di costituire un Tribunale speciale, che è stata rilanciata dalla presidente della Commissione europea von der Leyen e poi formalizzata in occasione del 24º vertice UE-Ucraina del 2 febbraio 2023. La Commissione ipotizza due modelli: un tribunale internazionale basato su un trattato multilaterale, o un tribunale ibrido, cioè un organismo nazionale integrato con giudici internazionali. Il parlamento di Kiev a breve potrebbe ratificare integralmente lo Statuto della Corte e si potrebbe sostenere una risoluzione dell’Assemblea degli Stati parte e un accordo tra Unione Europea, vari Stati garanti e l’Ucraina e la stessa Corte penale internazionale. Intanto il 3 luglio scorso all’Aja si è costituito il Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione contro l’Ucraina (ICPA).
Lo Statuto di Roma è in ogni caso un punto fermo anche in questa prospettiva. E l’Italia può fare ancora qualcosa di concreto per valorizzarlo: il varo del Codice dei crimini internazionali e la riapertura alla firma dello Statuto per estenderne l’adesione. Potrebbe promuovere anche una proposta di revisione: nel caso di una Risoluzione adottata a maggioranza dall’Assemblea degli Stati Parte o a seguito di un referall presentato da almeno 40 Stati dovrebbe consentirsi al Prosecutor di procedere direttamente pure per l’aggressione, ed anche nei confronti degli Stati che non hanno ratificato lo Statuto. Significherebbe dare un senso compiuto agli anniversari e far rivivere lo “spirito” dello Statuto di Roma.

* Membro dell’International Law Association.