La pace nel Caucaso è ancora molto lontana?

Intervista con Emanuele Aliprandi, autore di “La Guerra per il Nagorno-Karabakh”.

a cura di Giuliano Bifolchi * –

Nel settembre 2023 il Caucaso ha attratto nuovamente l’attenzione dei media internazionali quando, dopo nove mesi di blocco totale della regione a causa delle attività azerbaigiane nel Corridoio di Lachin, le forze armate dell’Azerbaigian hanno dato il via a quella che Baku ha definito come ‘una operazione anti-terrorismo’ che si è tradotta in pochi giorni nella capitolazione del governo della Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh e nell’esodo di decine di migliaia di armeni con conseguente crisi umanitaria.
Il conflitto del Nagorno-Karabakh, eredità del periodo sovietico e iniziato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, ha influenzato le dinamiche caucasiche negli ultimi decenni fino ai nostri giorni.
Per i tipi di Mattioli 1885, nella collana Archivio Storia, è uscito il libro “La guerra per il Nagorno-Karabakh” scritto da Emanuele Aliprandi, studioso della regione e già autore di ulteriori opere incentrate sulla regione.
Abbiamo rivolto alcune domande all’autore, perché ci illustri la situazione attuale e quali prospettive ci siano per il raggiungimento di una pace stabile nell’area.

– Dobbiamo considerare conclusa la guerra per il Nagorno Karabakh?
Da un punto di vista militare la risposta non può che essere affermativa. L’Azerbaigian ha raggiunto praticamente tutti gli scopi che si era prefissato: la conquista completa della regione (compreso l’oblast’ di epoca sovietica che godeva di una forma di autonomia particolare) e il suo svuotamento di tutta la popolazione armena. Oggi in Nagorno Karabakh (Artsakh) sono rimaste poche decine di persone di etnia armena (si dice non più di venti), quasi tutti anziani e malati che non possono o vogliono muoversi.
Inoltre, le forze armate azere hanno predisposto basi e presidi militari in tutta l’area, costruito tre aeroporti e infrastrutture che hanno chiaramente una funzione di rafforzamento della pressione militare sull’Armenia.
Si può dunque affermare che la guerra per il Nagorno Karabakh, intesa come il controllo della regione, sia conclusa ma…
”.

– Ma…
Non è finita la pressione azerbaigiana sull’Armenia. Continua una retorica di minaccia che si alterna a una disponibilità (finora poco costruttiva) per un negoziato di pace definitiva. Ciò avviene per due motivi: Aliyev non può interrompere – a uso interno – la narrazione del ‘nemico’ armeno con il quale ha alimentato la sua propaganda nazionale in uno Stato, ricordiamolo, che non brilla certo per democrazia.
Poi ambisce a occupare il territorio meridionale dell’Armenia per creare il cosiddetto ‘corridoio di Zangezur’ ovvero il collegamento tra il Nakhichevan e il resto dell’Azerbaigian. Questo progetto ultimamente sembrerebbe essere stato messo da parte stante le chiare sollecitazioni internazionali (soprattutto Ue, Stati Uniti e Iran) a non ledere la sovranità armena del Syunik e la possibilità di aprire una rotta alternativa attraverso l’Iran. Però, l’Azerbaigian sta puntando il dito sulle exclave in territorio armeno risalenti all’epoca sovietica e da un paio d’anni occupa oltre 200 km2 di territorio dell’Armenia lungo il confine.”
Proprio la delimitazione della frontiera sembra un ostacolo per ora insormontabile
“Fin tanto che non sarà stabilita una precisa linea di confine tra i due Stati non si raggiungerà mai la pace. Bisognerebbe fare affidamento alle mappe di epoca sovietica quando Armenia e Azerbaigian erano semplici entità amministrative non separate fisicamente. Ma, innanzitutto, è necessario capire quali mappe utilizzare: l’Armenia ha proposto di fare riferimento a quelle degli anni Settanta, l’Azerbaigian non si è pronunciato al riguardo.
Lavrov, nelle scorse settimane ha ironizzato sulle trattative di pace nella cornice dell’Unione Europea facendo capire che un accordo sui confini sarà possibile solo grazie a Mosca che detiene queste mappe. Pare però che le stesse siano state fornite alle parti in causa anche dagli Stati Uniti che, dunque, ne erano in possesso
”.

– E poi c’è il problema della piattaforma negoziale.
Esatto. Uno dei principali problemi per il raggiungimento della pace nel Caucaso meridionale è capire chi si possa o voglia intestare il ruolo di mediatore finale. Veti incrociati, interessi contrapposti (soprattutto tra Occidente e Russia dopo lo scoppio della guerra in Ucraina), ambizioni degli attori regionali: tutto rende più difficile la composizione del conflitto.
A fine ottobre si è svolto a Teheran un summit tra i ministri degli Esteri nel formato, a suo tempo proposto da Erdogan, “3+3” al quale hanno partecipato Armenia, Azerbaigian, Iran, Russia e Turchia ma non la Georgia in contrasto con Mosca.
Nello stesso tempo si è tenuto a Tbilisi, a margine del forum sulla Via della seta, un incontro tra il Primo ministro armeno e quello azero con la Georgia che sta chiaramente puntando a fare da ago della bilancia.
In precedenza, era saltato un vertice a tre (Pashinyan, Aliyev e Michel) a Strasburgo per il forfait del leader azero che già aveva disertato il vertice della Comunità politica europea a Granada il 5 ottobre.
Insomma, non solo ci sono problemi sulla sostanza, ma anche sulla forma di un accordo. E la situazione rimane in stallo
”.

– La recente dichiarazione congiunta armeno-azera che prevede anche uno scambio di prigionieri può essere un primo passo verso la pace?
Sicuramente si tratta di un passaggio significativo ma non definitivo, motivato dal desiderio dell’Azerbaigian di ospitare il prossimo appuntamento di COP29 (conferenza internazionale sul clima prevista per novembre 2024). Yerevan ha rinunciato alla propria candidatura in opposizione a Baku favorendo così quella della capitale azera.
Inoltre, l’inattesa dichiarazione congiunta potrebbe anche lasciar sottintendere un qualche primo segno di debolezza del presidente Aliyev per un mutato quadro politico internazionale. L’Armenia è stata molto attiva in queste ultime settimane nelle sue relazioni con Unione Europea e Stati Uniti ma non solo.
E non possiamo poi dimenticare che in Azerbaigian sono detenuti almeno sei civili, forse altri soldati armeni e soprattutto nove autorità e personalità politiche della repubblica di Artsakh
”.

* Articolo in media partnership con SpecialEurasia.