Lega Araba e Xinjiang: perché gli uiguri sono meno importanti dei soldi cinesi?

di Giuliano Bifolchi

Le recenti dichiarazioni dei rappresentanti della Lega Araba sulla situazione della Regione autonoma uigura dello Xinjiang della Repubblica Popolare Cinese hanno animato i media cinesi e internazionali e posto diversi dubbi sul reale impegno dell’organizzazione nell’adempiere ai propri obblighi.
Lo “scandalo” è scaturito dopo il forte clamore mediatico che i media cinesi hanno sollevato in merito alla visita nello Xinjiang di una delegazione di diplomatici e funzionari della Lega Araba e del suo segretariato, conclusasi con dichiarazioni che la stampa di Pechino ha riportato essere un chiaro esempio di come “la realtà sia differente da quanto viene raccontato in occidente”.
Dai media nazionali cinesi si apprende che la delegazione della Lega Araba, dopo aver partecipato al 18mo incontro di alti funzionari e al settimo dialogo politico strategico a livello di alti funzionari del Forum di cooperazione Cina-Stati Arabi, ha visitato la regione autonoma uigura dello Xinjiang nella Cina nord-occidentale per un totale di 4 giorni, dal 30 maggio al 2 giugno.
Secondo le parole dei rappresentanti dei paesi arabi, la situazione della regione dello Xinjiang non corrisponde a ciò che viene descritto dalla stampa occidentale e vanta armonia e stabilità, un’economia in rapida crescita e una cultura colorata e prospera, con residenti che vivono e lavorano in pace e contentezza. Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, al termine della mostra sul lavoro per l’antiterrorismo e la deradicalizzazione svoltasi a Urumqi, la delegazione “ha salutato i notevoli risultati dello Xinjiang nel rispetto e nella salvaguardia dei diritti umani”.
Mohammed Haj Ibrahim, direttore generale del Dipartimento per gli affari asiatici e africani del ministero siriano degli Affari esteri, ha affermato che la Cina ha dato un contributo costruttivo alla lotta contro il terrorismo e l’estremismo. La cooperazione internazionale in materia di lotta al terrorismo dovrebbe essere rafforzata, compreso lo scambio di informazioni ed esperienze, ha affermato.
Elhassan Mohamed Musbha Rabha, capo divisione del Dipartimento per gli Affari asiatici e australiani sotto il ministero degli Esteri del governo di unità nazionale della Libia, ha affermato che la Cina ha compiuto grandi sforzi per garantire la libertà di credo religioso e che le persone di tutti i gruppi etnici possono vivere insieme in armonia.
Mohanad A.A. Alaklouk, rappresentante permanente della Palestina presso la Lega Araba, ha dichiarato ai media locali il suo personale compiacimento nel vedere in che modo il governo cinese abbia preservato antichi edifici della comunità musulmana locale e sperimentare la cultura di lunga data della città vecchia di Kashgar durante il suo primo viaggio nello Xinjiang. Ha inoltre aggiunto che il governo cinese ha compiuto enormi sforzi per rinnovare la città vecchia e preservare il suo meraviglioso patrimonio culturale.
La notizia ha generato scalpore sia nel mondo arabo-musulmano che a livello internazionale, considerando anche il tono che i media cinesi hanno usato nel raccontare la visita della delegazione araba, sottolineando la non veridicità delle informazioni che stampa occidentale e diverse organizzazioni internazionali diffondono in merito alla difficile situazione degli uiguri.
Citando Adrian Zenz, senior fellow e direttore di studi cinesi presso la Fondazione in Memoria delle Vittime del Comunismo, con base a Washington, le parole dei rappresentanti arabi possono essere interpretate come un “terribile tradimento”.
I rappresentanti del mondo arabo-musulmano non sono nuovi tuttavia, a questo tipo di atteggiamento in favore delle autorità cinesi. Infatti già nel gennaio 2023 il Consiglio mondiale delle comunità musulmane aveva effettuato una visita sempre nello Xinjiang e descritto la regione come “un paradiso di libertà religiosa”. Le parole avevano già al tempo generato diversi dubbi a livello internazionale ed erano state riprese dai media cinesi.
Accademici e figure di spicco della comunità mondiale uigura avevano quindi criticato i rappresentanti delle comunità musulmane definendoli come parte della “propaganda” cinese. Dolkun Isa, presidente del Congresso Mondiale degli Uiguri (WUC), aveva affermato che la Cina è solita utilizzare il pretesto della lotta al terrorismo per giustificare la criminalizzazione di “forme quotidiane e legali comportamento religioso, come portare la barba o lo hijab e possedere il Corano”.
Ad oggi quello che risulta essere chiaro è la strategia di Pechino di ottenere consensi nel mondo arabo-musulmano attraverso l’organizzazione di eventi e visite nello Xinjiang di rappresentanti arabi e musulmani, le cui parole possono supportare sia la narrativa interna cinese che diffondersi a livello internazionale perseguendo il duplice obiettivo della Cina di rafforzarsi sia in politica intera che estera.
Essendo uno di teatri di scontro mediatico tra Cina e Stati Uniti, la condizione degli uiguri nello Xinjiang sta interessando diverse realtà a livello internazionale, in special modo il mondo arabo-musulmano creando una spaccatura tra i rappresentati del governo e la popolazione nel modo di percepire l’operato di Pechino sulla gestione delle minoranze etniche e religiose.
Nel supportare la strategia cinese nello Xinjiang, i paesi del mondo arabo-musulmano sono spesso accusati di preferire i vantaggi economici che la partnership con Pechino può offrire. Non si deve dimenticare come, grazie anche al lancio e alla continua promozione della Belt and Road Initiative (Nuova Via della Seta), il governo cinese abbia accresciuto la sua importanza e presenza nel mercato dei paesi arabi divenendo uno dei maggiori investitori e partner commerciali.
A supporto di questa tesi è possibile citare l’interscambio commerciale tra i paesi arabi e la Cina che ha registrato negli ultimi anni una decisiva crescita. Secondo il ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il principe Faisal Bin Farhan, la Cina è il principale partner commerciale dei paesi. Nel 2022 il volume degli scambi commerciali arabo-cinesi si è attestato a circa 106 miliardi di dollari. L’Arabia Saudita è in testa agli stati arabi nelle relazioni commerciali con la Cina, e il Regno è il più grande fornitore cinese di petrolio greggio. Nel 2021 gli investimenti diretti esteri cinesi negli stati arabi hanno raggiunto i 330 miliardi di dollari.
Soldi, scambi commerciali e investimenti troppo importanti per il mondo arabo in un periodo storico caratterizzato da quella che molti hanno definito una “Nuova Guerra Fredda” che oppone l’occidente alla Russia e gli Stati Uniti alla Cina: in questo scacchiere strategico, l’obiettivo di molti governi del mondo arabo-musulmano è quello di bilanciarsi e posizionarsi al meglio tra le potenze internazionali prediligendo gli scambi commerciali e il ritorno economico e quindi chiudendo in diversi casi gli occhi in merito alle situazioni di minoranze etniche e religiose. A farne le spese sono gli uiguri, la cui sopravvivenza e situazione rimane in bilico, e in diverse situazioni barattata in cambio di soldi o in favore di obiettivi geopolitici.

Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.