Libano. Il popolo vuole pane? Censurategli Barbie

di Dario Rivolta * –

Ci fu un periodo, all’incirca negli anni sessanta del secolo scorso, in cui il Libano era considerato un piccolo paradiso nel Mediterraneo. Luogo d’incontro nella sua storia di popoli e religioni, era tuttavia piccolo, con scarse risorse naturali proprie, ma ricco grazie tra l’altro all’eccezionale spirito commerciale dei suoi abitanti. In quegli anni se ne parlava, con buona ragione, come di una “Svizzera del Medio Oriente”. Chi ci andasse oggi portando con sé l’immagine di allora non potrebbe più riconoscerlo. Attualmente, almeno l’80% della popolazione libanese vive sotto la soglia di povertà, le carenze di cibo e carburante sono quotidiane e perfino nella capitale Beirut l’elettricità ha frequenti interruzioni del servizio. L’inflazione è vicina al 270% e quella per gli alimentari di base arriva al 350%, mentre la lira libanese in un decennio è crollata del 98% nei confronti del dollaro statunitense.
Come non bastasse, allo scoppio della guerra nella vicina Siria si sono rifugiati in Libano quasi due milioni di profughi (su una popolazione totale di meno di sette milioni) che, quando ci riescono, offrono il proprio lavoro a basso costo e rubano così occupazione agli autoctoni. Questo fatto, unito agli aiuti che le organizzazioni internazionali offrono solo ai rifugiati contribuisce ad aggravare l’insofferenza dei libanesi verso questi nuovi arrivati. Ormai da diversi decenni anche più di un milione di palestinesi si sono installati permanentemente in Libano e ciò costituisce un altro grave problema per il Paese. Costoro non sono mai stati integrati perché il farlo avrebbe causato altri e maggiori sconquassi. Secondo gli accordi del 1943 confermati a Taif con la fine alla guerra civile degli anni ’80, si erano fissate, una volta per tutte, le quote della popolazione divisa tra cristiani, musulmani sunniti, musulmani sciiti, drusi e rappresentanti di tutte le altre confessioni religiose (lo Stato riconosce ufficialmente 18 confessioni: tra i musulmani i sunniti, gli sciiti duodecimani, ismailiti, alauiti e i drusi, la Chiesa maronita, la Chiesa greco-ortodossa, la Chiesa greco-cattolica melchita, la Chiesa apostolica armena, la Chiesa armeno-cattolica, la Chiesa ortodossa siriaca, Chiesa cattolica sira, i protestanti, la Chiesa assira d’Oriente, la Chiesa cattolica caldea, la Chiesa ortodossa copta e la Chiesa latina e infine la comunità ebraica) che si sono proporzionalmente spartite collegi elettorali e posti di potere. Per dare un’idea del problema istituzionale causato dai tanti palestinesi presenti basta ricordare che i loro campi (oramai quasi tutti con costruzioni in muratura) hanno una giurisdizione totalmente autonoma seppur in territorio libanese e all’esercito ufficiale è perfino fatto divieto di entrarvi. In base alla Costituzione, il presidente della Repubblica sarà sempre un cristiano, il presidente del Parlamento un musulmano sciita e il primo ministro un musulmano sunnita. Le altre posizioni seguono a cascata rispettando sempre una rappresentatività proporzionale.
Dopo Taif sembrò, per un certo periodo, che tutto potesse tornare ai momenti migliori di prima dello scoppio della guerra civile e la parentesi del primo ministro Rafik Hariri apparve confermarlo. Uomo di grandi capacità diplomatiche, carismatico e con l’appoggio internazionale (soprattutto da parte dei sauditi) riuscì a migliorare i conti dello Stato, far nascere nuovi posti di lavoro e ricostruire il centro di Beirut distrutto dalla guerra così come era prima e perfino con una certa eleganza e maggiore efficienza funzionale. Il suo assassinio, probabilmente ispirato dai siriani che non lo amavano e che temevano di perdere l’egemonia che esercitavano su quel Paese, riportò a galla tutte le contraddizioni. Va detto che, dopo 16 anni di indagini costate un miliardo di dollari il Tribunale Speciale per il Libano ha condannato un membro di Hezbollah come responsabile dell’attentato e altri tre sono stati assolti per insufficienza di prove. Hezbollah ha tuttavia rifiutato di estradare il colpevole adducendo un “sentenza politica”:
Come è tipico di molti Paesi medio orientali, e non solo, la corruzione è sempre stata connaturata ai governi e alla mentalità dei libanesi ma dalla morte di Hariri non c’è più stato alcun limite al suo sviluppo. Da circa dieci anni i conti dello Stato si sono incamminati sulla strada del fallimento e nessuno tra i governi succedutisi ha avuto la forza, e forse nemmeno la volontà, di porvi rimedio. Ogni Primo Ministro, uno dopo l’altro, hanno promesso di combattere la corruzione e fermare lo scialacquare dei soldi pubblici ma senza mai attuare azioni concrete (a qualcuno ricorda Zelensky?). La comunità internazionale e il Fondo Monetario i hanno proposto aiuti finanziari purché fosse stato riformato in modo più democratico il sistema elettorale, fosse riorganizzato e resa indipendente la magistratura, si combattesse davvero la corruzione e si mettesse fine agli enormi conflitti di interesse che legano le banche del Paese ai vari politici. Nulla è stato fatto a causa di veti reciproci dei vari partiti e i tre miliardi di dollari del FMI non sono mai stati erogati.
La situazione già critica è venuta peggiorando ulteriormente dopo lo scoppio di 2750 tonnellate di nitrato d’ammonio nel porto di Beirut. Si trattò forse della più potente singola esplosione non nucleare della storia umana, causò la distruzione di un intero quartiere di abitazioni prospicenti il porto e morte e ferimento di centinaia di persone. Avvenne il 4 Agosto del 2020 e subito fu annunciata un’inchiesta per scoprire le responsabilità di chi aveva tollerato in silenzio per ben sei anni la presenza di un materiale così pericoloso. Nonostante le varie rassicurazioni, ancora oggi nessuno ha avuto il coraggio di identificare chi era titolare di quel deposito e chi, pur sapendolo, aveva taciuto su quella presenza. Due magistrati investigativi che sembravano voler trarre delle conclusioni sono stati rimossi dal loro incarico uno dopo l’altro e, benché tutti sapessero che si trattava di materiale a disposizione di Hezbollah, l’annunciarlo avrebbe causato una nuova crisi politica e, probabilmente, fatto emergere occulte complicità. I parenti dei defunti e i danneggiati hanno protestato nelle piazze a più riprese, con l’unico risultato di essere attaccati dalla polizia e molti di loro imprigionati.
La crisi legata al Covid-19 ha ulteriormente appesantito la situazione economica e, a un certo punto, tutte le banche a corto di liquidità hanno bloccare i prelievi dei risparmiatori. Non per tutti però: i più benestanti e la maggior parte dei politici, conniventi con i dirigenti bancari, sono riusciti a trasferire all’estero tutti i loro soldi appesantendo così ancora di più l’indebitamento del sistema. Non è un caso che nel febbraio scorso il governatore della Banca Centrale (Banque du Liban), Riad Salameh sia stato messo sotto accusa per riciclaggio di danaro, appropriazioni indebite, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale. Nel marzo del 2022, Francia, Germania e Lussemburgo hanno messo sotto sequestro i suoi beni per un valore di 120 milioni di euro e nello scorso maggio Francia e Germania hanno emesso nei suoi confronti un mandato internazionale di arresto seguiti pochi giorni or sono da Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada. L’accusa è che Salameh abbia abusato della sua posizione di potere in violazione delle leggi libanesi e abbia saccheggiato i soldi dei risparmiatori “per arricchire sé stesso e i suoi associati pilotando centinaia di milioni di dollari attraverso società ombra che investissero in immobili in Europa”. Le stesse accuse e le relative sanzioni sono state emesse anche nei confronti del fratello del governatore, della sua assistente, della sua amante e del figlio avuto dal quest’ultima. Il caso di Salameh è indicativo della situazione libanese: pur evidentemente colpevole, è rimasto al suo posto fino allo scorso 31 luglio continuando come se nulla fosse a gestire la Banca Centrale. Non si pensi però che ora sia stato rimosso: il suo mandato era scaduto dopo trent’anni di potere, e la sua riconferma o una nuova nomina spetterebbe al Governo con l’approvazione del Presidente della Repubblica. Purtroppo, il Governo attualmente in carica è “provvisorio” non essendosi trovata, dalle elezioni del maggio 2022, una maggioranza parlamentare che lo votasse e può solo compiere atti di ordinaria amministrazione. Per quanto riguarda il presidente della repubblica la posizione è vacante dall’Ottobre del 2022 e, anche in quel caso, non c’è accordo tra le forze politiche su quale tra i possibili candidati cristiani possa ricoprire la carica. L’ultima votazione, la dodicesima avvenuta lo scorso giugno, al primo turno non ha dato un risultato utile venendo a mancare il quorum necessario. Al secondo turno, ove sarebbe stata sufficiente una maggioranza relativa, molti parlamentari hanno lasciato l’aula per far mancare il numero legale. Non è la prima volta che il Libano rimane per un lungo periodo senza Presidente perché già successe nel 2014 e il numero sufficiente per eleggerlo fu raggiunto solo nel 2016.
Naturalmente il caso del governatore della Banca Centrale non è l’unico tanto è vero che in aprile con l’accusa di riciclaggio di denaro e di partecipazione ad una organizzazione criminale era già andato sotto processo in Francia un ex ministro, Marwan Khair El-Din. Anche in quel caso e nonostante la decisione di un tribunale francese fosse ben documentata, il Governo libanese ha rifiutato di arrestarlo dicendo che una sua possibile estradizione sarebbe spettata alla magistratura locale. Chi conosce la vera situazione del Libano non può che sorriderne poiché nessun uomo potente, sia esso businessman o politico, è mai stato imprigionato in Libano e anche quando (raramente) ciò è avvenuto, gli arrestati sono ben presto fuggiti facendo perdere le proprie tracce.
La corruzione non si limita alle banche e agli affari: anche negli ospedali si è saputo di traffici di bambini appena nati strappati alle madri e venduti su un mercato illegale. D’altronde, non esiste in Libano nessuna legge che regoli le adozioni o protegga i bambini abbandonati.
È praticamente impossibile compiere qualunque atto riguardante l’amministrazione pubblica se non si paga una “mancia” o non si hanno contatti influenti. La maggior parte dei politici ha quote azionarie o sodali nelle banche e nessuno si astiene dal votare in Parlamento misure che riguardino imprese in cui abbiano interessi finanziari. Il clientelismo è pratica comune e migliaia di persone appartenenti all’uno e all’altro dei partiti/confessioni religiose sono assunte per incarichi pubblici grazie ai loro “protettori”.
Anche la stampa partecipa al “sistema libanese”, tanto è vero che la maggior parte dei media locali non hanno nemmeno menzionato i mandati di arresto internazionali e i più palesi casi di corruzione.
Della magistratura abbiamo già parlato ma basta dire che dal 1951 ad oggi si sono verificati almeno 300 assassini di politici ma nel 90% dei casi non si sono mai identificati i responsabili. Anche quando qualche ingenuo investigatore ha creduto di poterlo fare è stato immediatamente rimosso e sostituito da qualcuno più “docile”.
I politici locali non sono solamente dediti al malaffare per un arricchimento personale. Alla morale sono molto attenti, tanto è vero che l’attuale, per quanto provvisorio, ministro della Cultura Mohammad Mortada ha appena annunciato di aver chiesto al ministro degli Interni (anch’egli provvisorio) Bassam Mawlawi di prendere “tutte le misure necessarie per impedire che venga rappresentato il film Barbie nel Paese”, poiché questo film, previsto in proiezione il 31 agosto, “promuove omosessualità e transessualità… sminuisce il ruolo di custode dei padri, mina e ridicolizza il ruolo della madre e mette in dubbio la necessità del matrimonio e dell’avere una famiglia”. Il ministro degli Interni ha garantito che imporrà al Comitato della censura, che lui dirige, la necessità di visionare il film e decidere di conseguenza.

* Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.