Libia. La Francia ammette, ‘i missili rinvenuti a Gharian sono nostri’

Salvini, ‘fatto gravissimo, chiederemo spiegazioni: dobbiamo lavorare tutti insieme per pacificare la Libia, non per armare gruppi che poi attaccano obiettivi civili’.

di Guido Keller –

Sono francesi i missili anticarro rinvenuti lo scorso 30 giugno nella città di Gharian, punto strategico del generale “di Tobruk” Khalifa Haftar perso lo scorso mese dal suo Libyan National Army (Lna) nella controffensiva delle forze regolari del governo di accordo nazionale (Gna).
Tra le armi abbandonate dal Lna e rinvenute dai militari “di Tripoli” vi erano 4 missili anti-tank “Javelin” di fabbricazione Usa, arrivati ad Haftar attraverso gli Emirati Arabi Uniti. Si trattava di missili estremamente distruttivi che costano 170mila dollari l’uno prodotti dalla Raytheon e Lockheed-Martin, e sui contenitori riportano evidenza il numero del lotto di produzione e il destinatario finale (che sono gli EAU). A cederli è tuttavia stato il governo di Parigi, per quanto il ministero della Difesa francese abbia precisato che si trattava sì di armi in dotazione alle forze francesi, ma “schierate a scopi di intelligence antiterrorismo” in Libia.
Il termine “terrorismo” è assai abusato nel quadro del conflitto libico, specialmente da Haftar nella sua guerra contro il governo riconosciuto dall’Italia e dalla comunità internazionale, ma non bisogna dimenticare che estremisti jihadisti impregnano tutte e due le parti, e lo stesso generale è stato fotografato con esponenti salafiti madkhalisti al soldo dell’Arabia Saudita.
Come pur non è una novità la vendita di armi alle parti in guerra nonostante una risoluzione Onu che lo vieti: da giorni si parla della cessione al Una da parte della Turchia di armi e di droni, ma a cominciare l’illecito è stato proprio Khalifa Haftar, che già nel 2016 dagli Emirati Arabi Uniti (Eau) attraverso l’Egitto un consistente carico di armi tra cui ben 1.050 veicoli militari, nella fattispecie mezzi blindati e soprattutto pick-up Toyota, veicoli veloci per le grandi distanze del territorio e sormontati da mitragliatrici e cannoncini.
Sull’ammissione della Francia circa la paternità dei missili è intervenuto il vicepremier italiano Matteo Salvini, il quale ha commentato che “Sarebbe un fatto gravissimo, chiederemo spiegazioni: dobbiamo lavorare tutti insieme per pacificare la Libia, non per armare gruppi che poi attaccano obiettivi civili”.
Quel che è certo, è che Haftar ha dalla sua anche gli Usa, che in Libia fanno come la Francia il doppio gioco. D’altro per i suo detrattori il generale sul libro paga della Cia, dal momento che nel 1987 venne fatto prigioniero dall’esercito ciadiano in occasione della “Guerra delle Toyota”, per poi essere prelevato dalla Cia e portato negli Usa, dove vi è rimasto fino al 2011 residente in un lussuoso appartamento situato a Langley, ad un chilometro dal quartiere generale del Central Intelligence Agency. Poi ricomparve in Libia per comandare la piazza di Bengasi nell’insurrezione che ha portato alla deposizione di Muammar Gheddafi.
La situazione del fronte, a 25 chilometri dalla capitale, è comunque in fase di stallo, e il Lna con la sua offensiva iniziata il 4 aprile ha mancato l’obiettivo di essere conclusa il 5 maggio, giorno di inizio del Ramadan. Un’offensiva mossa da finalità tutt’altro che nobili, in uno scacchiere sul quale si sovrappongono diversi conflitti esterni per una serie di interessi, comprese le contrapposizioni politico-religiose: Haftar nella sua corsa a Tripoli conta mettere le mani sui soldi della Banca centrale, come affermato in maggio dall’International Crisis Group.
Oggi si è anche appreso che a seguito del raid aereo dell’esercito di Haftar sul centro migranti di Tagiura (53 morti), il governo giocato dal Fayez al-Serraj ha disposto il rilascio di alcune decine di migranti dallo stesso centro: l’accordo con l’Onu era del rilascio di 70, ma ne sono usciti in totale 350 circa, in segno di protesta.

(Nella foto: Haftar con esponenti salafiti madkhalisti).