L’incognita tatara per la Crimea e le connessioni con il Caucaso del Nord

di Giuliano Bifolchi

tatari di crimeaCon l’aumento delle tensioni relative all’Ucraina e al referendum considerato legale dal Cremlino, analizzando la situazione della penisola di Crimea è possibile affermare che la componente etnica dei Tatari potrebbe giocare un ruolo importante nello sviluppo degli avvenimenti che stanno coinvolgendo direttamente la Russia visto che, qualora la penisola entrasse definitivamente nella Federazione Russa, i Tatari vedrebbero le loro richieste e la loro autonomia ridotta. Inoltre, come fatto notare da diversi esperti e studiosi, è possibile riscontrare dei paralleli con quanto avvenuto negli anni ’90 in Cecenia e quanto sta attualmente avvenendo in Crimea, fattori che potrebbero far pensare ad un deterioramento della situazione di sicurezza nella regione come quello nord caucasico.
La Crimea è una regione autonoma all’interno dell’Ucraina, così come la Cecenia lo era per la Federazione Russa, il cui passato è stato caratterizzato dal Khananato sottratto all’Impero Ottomano durante il regno di Caterina la Grande; la penisola quindi è rimasta sotto il controllo dell’Impero Russo per circa 125 anni, ma nel 1954 il leader sovietico Nikita Khrushchev pose la Crimea sotto il controllo della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina (SSR) con l’obiettivo plausibile da parte di Mosca di ricostruire la penisola sfruttando la ricchezza ucraina.
Il problema della Crimea però è connesso direttamente con il popolo dei Tatari, circa 200 mila e residenti nella penisola dal XIII secolo, i quali furono deportati durante la Seconda Guerra Mondiale in Asia Centrale da parte di Stalin perché accusati, insieme ad alcuni popoli nord caucasici, di collaborare con i nazisti. A differenza di Balkari, Ceceni, Ingusci ed altri, ai Tatari non fu permesso di ritornare nella loro terra di origine nel 1957 e ciò fu possibile soltanto durante il governo di Mikhail Gorbachev nel 1989; il ritorno nella madre patria comportò però uno scontro tra i Tatari ed i residenti ed indusse Kiev a prendere il diretto controllo dell’area con l’intento di evitare la destabilizzazione.
Secondo l’ultimo censimento datato 2001, la popolazione in Crimea sarebbe pari a 2,5 milioni di persone di cui circa il 12% di etnia tatara, mentre il 60% di etnia russa. Seppur di numero inferiore rispetto ai russi, i Tatari sono una minoranza ben radicata sul territorio, una comunità musulmana con forti relazioni con la Turchia che ha realizzato nel tempo una propria struttura burocratica ed amministrativa facente capo al Mejlis (Parlamento) dei Tatari di Crimea. Attivi in politica, Hizb ut-Tahrir (Il Partito della Liberazione) ha assunto una forte rilevanza e posizione all’interno della comunità tatara di Crimea, la penisola è stata anche uno dei pochi luoghi nel territorio dell’ex Unione Sovietica dove i musulmani hanno dichiaratamente professato la loro opposizione al regime di Bashar al-Assad in Siria ed il loro appoggio alla guerra civile.
Proprio in Siria, infatti, sono presenti dei Tatari di Crimea che combattono all’interno delle truppe di Jaish al-Muhajireen wa al-Ansar (JMA) nella zona di Aleppo, direttamente collegati con i militanti del Caucaso del Nord e con il network terroristico di al-Qaeda; Abdul-Kerim Krymsky (di Crimea) è infatti già divenuto il vice di Salauddin, comandante di JMA. Una unione quella tra ceceni e tatari che non deve essere sottovalutata perché fonda le sue radici nei tempi della Seconda Guerra Mondiale quando entrambi i popoli furono deportati in Asia Centrale e poterono quindi conoscersi e condividere idee politiche e religiose comuni.
Le analogie con i ceceni non dipendono soltanto dalla natura politica e religiosa dei Tatari, ma anche dai personaggi militari che Mosca sta attualmente schierando in Crimea: ad esempio il Tenente Generale Igor Nikolaevich Turchenyuk, comandante attuale delle forze di occupazione russe nella penisola, aveva guidato la 138° Brigada Motorizzata dei Fucilieri in Cecenia nel gruppo Zapad sotto il controllo di Vladimir Shamanov, accusato di aver perpetrato crimini contro l’umanità dagli attivisti dei diritti umani.
La volontà di schierare truppe in Crimea provenienti dal Nord Caucaso, in particolare dalla Cecenia e dal Dagestan, da parte del Cremlino è vista dagli esperti come un escamotage per poter neutralizzare l’opposizione Tatara con l’idea che questa non voglia o possa entrare in contrasto con gli “amici” ceceni; il 5 marzo il Consiglio Federale, la Camera Alta del Parlamento russo, aveva invitato le regioni della Federazione Russa a supportare i russi residenti in Crimea e nelle regioni dell’Ucraina orientale adiacenti alla Russia attraverso aiuti economici, umanitari e di altro tipo. Vladimir Vladimirov, governatore della regione di Stavropol, espresse il desiderio di ospitare i membri delle unità di polizia speciali Berkut accusate spesso di violenza contro i civili, Ramazan Abdulativop, leader del Dagestan, annunciò l’invio di 15 camion con aiuti umanitari per la Crimea mentre l’Inguscezia predispose la raccolta di aiuti per i residenti della penisola ucraina. Lo stesso leader della Repubblica di Cecenia, Ramzan Kadyrov, dichiarò di essere pronto a dispiegare le truppe nella penisola con l’intento di proteggere gli interessi russi. A controbilanciare però questo supporto nord caucasico alla Russia ci sarebbero i gruppi di volontari ceceni pronti ad aiutare gli ucraini ed i circoli musulmani direttamente collegati ai tatari in Crimea.
Andando ad analizzare un possibile quadro futuro della regione si potrebbe evidenziare lo scontro tra ceceni in appoggio dei russi e ceceni in supporto degli ucraini e dei tatari, realtà che opporrà quindi persone della stessa etnia come sta avvenendo attualmente in Siria. L’idea di fondo è quella che la Crimea potrebbe divenire per la Russia una “seconda Cecenia” i cui collegamenti con il Caucaso del Nord potrebbero aumentare i problemi di insicurezza della regione meridionale russa. Caucaso del Nord che, a causa della crisi Ucraina, sta perdendo interesse e posizioni nelle priorità russe sia per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza sia quello economico: i soldi necessari per poter favorire la restaurazione della Crimea dovranno infatti essere presi dagli altri territori della Federazione Russa, tra cui anche il Caucaso del Nord il quale negli ultimi anni è stato invece una delle aree verso cui Mosca ha effettuato il maggiore sacrificio economico per favorirne lo sviluppo. Le stime iniziali parlano di 1 miliardo di dollari per il governo pro-russo a cui dovranno far seguito 5 miliardi di investimenti ed ulteriori capitali per le infrastrutture; la domanda che occorre porsi è se concentrando la propria attenzione sulla Crimea il Cremlino non stia sottovalutando i possibili scenari futuri che si potrebbero delineare all’interno della stessa Federazione, tra cui in special modo il Caucaso del Nord, i quali potrebbero influire sul problema della sicurezza aumentando il rischio paese qualora la componente tatara avviasse uno scontro contro il governo pro-russo sulla stessa riga di quello che ha riguardato e riguarda il Distretto Federale del Caucaso del Nord.