L’omuncolo del semaforo tedesco

di Anceo Agostini

Chiunque, per motivi di lavoro o per turismo, abbia visitato la capitale tedesca e abbia cercato in un negozio o in un chiosco un ricordino della città avrà notato un bizzarro souvenir a forma di ometto che cammina. È l’Ampelmännchen (l’omino del semaforo) ideato da Karl Peglau per regolare i passaggi pedonali. Lo ritrovate in tutte le salse, come portachiavi, impresso sulle magliette, sulle posate o sui calzini. E’ insomma un simbolo di Berlino al pari della torre Eiffel per Parigi o del Colosseo per Roma. Mi sorge spontaneo ravvisare un valore allegorico del ricordino berlinese rispetto all’attuale governo “semaforo” della RFT.
È impressionante, raffrontando le figure di Willy Brandt e dell’attuale cancelliere, constatare quanto la politica tedesca sia cambiata. Brand è stato l’ideatore di quella Ostpolitik che aveva consentito di superare il profondo solco di ostilità e diffidenza lasciato dalla guerra tra Russia e la Germania e, al di là delle ideologie, di instaurare relazioni di buon vicinato e collaborazione con i Paesi dell’Est. Rapporti che durante i cancellierati di Helmut Kohl sarebbero approdati all’unificazione della Germania. Il successivo crollo dell’Unione Sovietica avrebbe permesso di ampliare e diversificare gli ambiti di collaborazione tra la Germania e la Russia allargati anche agli altri Paesi europei.
Nell’ottobre del 2013 la russa Gazprom celebrava l’anniversario della prima fornitura di gas in Germania: “40 anni fa il gas russo arrivò per la prima volta nella Repubblica Federale Tedesca e gettò solide basi per la cooperazione tra i due Paesi. Gli anni sono passati, le realtà politiche ed economiche sono cambiate, ma la nostra partnership si è sviluppata costantemente. Non è solo il gas a unirci. Promuoviamo attivamente lo scambio culturale tra i nostri Paesi, realizziamo progetti sportivi e sociali. Nel corso degli anni siamo diventati molto più che partner commerciali affidabili. Siamo diventati buoni amici. E questa amicizia non ha fatto che rafforzarsi nel corso degli anni”. E la Gazprom non aveva tutti i torti, durante i cancellierati di Schroeder e della Merkel si era incominciato a intravedere l’embrione di quel processo di integrazione non solo economica tra l’UE e la Russia auspicata da Mitterand sotto forma di “Confederazione europea”. Il gas russo, distribuito da una fitta rete di gasdotti, fornito a prezzi stabili in base a contratti a lungo termine ha consentito negli anni alle industrie tedesca ed europea di presentarsi concorrenziali sul mercato internazionale.
La situazione geopolitica che si andava delineando non poteva non preoccupare gli “Amis” (Yankee in tedesco) d’oltreoceano fino a indurli ad adottare una politica di “bastone e carota” per far rientrare nei ranghi gli insubordinati alleati. Fin dall’origine, all’inizio degli anni ’80 l’epopea del gas russo in Germania e in Europa occidentale non piacque agli americani. A quel tempo per i tedeschi e gli europei l’intento era di affrancarsi dalla dipendenza OPEC negli approvvigionamenti energetici. L’amministrazione Reagan, che era fortemente contraria alla costruzione del primo gasdotto “Urengoy-Pomary-Uzhgorod” (4451 km) che avrebbe trasportato il gas dalla Siberia al confine ucraino-cecoslovacco per essere distribuito in Europa, applicò delle sanzioni che interdivano gli europei a fornire in URSS gli impianti necessari alla costruzione del gasdotto. Il governo tedesco e altri governi europei non si piegarono alle pressioni americane. Il gasdotto, finanziato da un consorzio di banche guidate dalla Deutsche Bank, fu comunque costruito e avviato nel 1983. Le sanzioni Usa vennero applicate nei confronti di una ventina di società europee, tra cui l’italiana Nuovo Pignone, la tedesca AEG-Kanis, la francese Creusot-Loire.
In seguito, durante la permanenza della Merkel alla cancelleria tedesca, gli Stati Uniti hanno intensificato l’attività “rieducativa” inviando alla Germania (e all’Europa) alcuni efficaci avvertimenti che vanno intesi come tappe del corso di recupero da parte dell’alleato USA. Il “bastone” è stato inizialmente utilizzato per il settore finanziario e bancario tedesco. All’aggravamento dell’ormai endemica crisi della Deutsche Bank, a partire dal 2008, pare non siano estranee ispirazioni d’oltreoceano, come veniva rilevato da Agenzia Italia in un articolo del luglio 2019: “Un tempo simbolo dell’affidabilità teutonica, il colosso bancario è affondato nel tentativo di competere sullo stesso terreno dei concorrenti angloamericani”.
Gli scandali legati all’attività della DB negli USA sono stati coronati da ingenti sanzioni. La Deutsche Welle nel 2020 riassumeva le vicende in questi termini: “Nel 2013 la banca ha ricevuto una prima sanzione: ha dovuto pagare 1,9 miliardi di dollari ai finanziatori edili americani Freddie Mac e Fannie Mae, allora nazionalizzati. Nel 2017 la banca ha raggiunto un accordo con le autorità statunitensi. Le trattative iniziali parlavano di 14 miliardi di dollari, pari alla rovina finanziaria di Deutsche Bank. Alla fine la banca ha pagato 7,2 miliardi di dollari. Mentre erano in corso le trattative con le autorità statunitensi, nel 2015 è venuto alla luce un altro scandalo della Deutsche Bank, anche se molto più piccolo. Secondo le conclusioni degli investigatori, la banca aveva utilizzato le transazioni azionarie per riciclare 10 miliardi di dollari di denaro sporco in rubli russi. Poiché le transazioni erano in dollari, le autorità statunitensi sono nuovamente intervenute. Questa volta la sanzione è stata di 600 milioni di dollari. La Deutsche Bank ha successivamente posto fine alle sue attività di investment banking in Russia. Molto più basse sono state le multe che Deutsche Bank ha dovuto pagare dopo che le autorità statunitensi hanno dichiarato che aveva violato l’embargo statunitense sull’Iran. La banca ha pagato 260 milioni di dollari nel 2015, molto meno degli 1,4 miliardi che la rivale Commerzbank è stata costretta a pagare per accuse simili.
Il “bastone” è stato impiegato anche nei confronti dell’industria tedesca. Lo scandalo Dieselgate, sbocciato negli Stati Uniti nel 2015, coinvolse la principale industria automobilistica tedesca, la Volkswagen. Si stima che al gruppo tedesco la lezione sia costata una cifra intorno a 32 miliardi di dollari.
Ad un’altra multinazionale tedesca venne somministrata una carota, oibò “avvelenata”. Il 29 maggio 2018 il ministero della Giustizia USA autorizzò l’acquisto della Monsanto da parte del gruppo chimico-farmaceutico Bayer. Dopo una trattativa durata 2 anni e mezzo, la transazione, ammontante a 63 miliardi di dollari, rappresentò per il colosso tedesco il più grande acquisto della storia. Nasceva il più grande gruppo multinazionale integrato nel settore agrochimico e delle sementi OGM. Solo ad affare concluso negli Stati Uniti sarebbero emerse decine di migliaia di denunce contro il diserbante al glifosato Roundup prodotto per decenni dall’azienda statunitense. Alla casa tedesca il patteggiamento del 75% delle azioni legali in USA (95mila cause) solo nel periodo 2020-2021 sarebbe costato oltre 10 miliardi di dollari. In compenso per la prima volta a una delle società gemelle nate dalla spartizione del gruppo IG Farben, tanto caldeggiata dai concorrenti statunitensi nel processo di Norimberga, veniva concesso di sbarcare in grande negli USA, di trasformarsi in una testa di ponte per la legittimazione dei prodotti OGM nell’ UE (in barba al fallimento delle trattative TTIP) e di ereditare le prelazioni della Monsanto su 17milioni di ettari coltivabili in Ucraina, una superficie superiore all’Italia.
Grazie alle sistematiche attività di spionaggio condotte dalla Cia e dalla NSA (si presume a partire dal 2002) nei confronti delle società e dei politici tedeschi ed europei, venute alla luce nel 2014 a seguito delle rivelazioni dell’ex analista della NSA Snowden, il governo e le società degli Stati Uniti hanno avuto buon gioco nei confronti degli alleati tedeschi ed europei sia in campo economico (ad esempio, tender internazionali che vedevano in concorrenza Airbus/Boeing o Siemens/General Electric), sia nel monitorare e manovrare i governi e le forze politiche tedesche ed europee a proprio vantaggio. Di fronte ai gravissimi fatti emersi nell’ambito del Data gate che coinvolgevano direttamente anche i servizi di sicurezza federali BND, né la cancelliera Merkel, né il governo tedesco (né, peraltro, i politici degli altri Paesi europei oggetto delle intercettazioni) furono all’altezza di manifestare una reazione che si distinguesse da una mera formalità.
Quando nel dicembre 2021, dopo 73 giorni di trattative, venne formato il governo Scholz, il nuovo gabinetto fu denominato “semaforo” per il colore dei partiti che formavano la coalizione: rosso-Socialdemocratici, verde-Verdi e giallo-Liberali. Per la Germania si trattava di una coalizione inedita nella quale i Verdi rappresentavano l’ago della bilancia. Per i Verdi non era la prima esperienza di governo, erano approdati al governo insieme alla SPD durante i due cancellierati di Schroeder, sotto la guida di Joschka Fischer, un ex sessantottino, sospetto bombarolo, senza arte né parte, la cui carriera politica fino alla carica di vicecancelliere e ministro degli Esteri resta tuttora inspiegabile. Nell’attuale governo tedesco i Verdi hanno acquisito un peso determinante dovuto sia al grande consenso ottenuto nelle elezioni, sia e soprattutto sullo sfondo della debolezza del partner maggioritario, la SPD. E nuovamente hanno ottenuto due posti rilevanti: l’incarico di vicecancelliere per Robert Habeck e il ministero degli Esteri per Annalena Baerbock, quest’ultima più nota per i suoi bronzi nazionali conseguiti nei salti sul trampolino che per la competenza e gli studi incompiuti. Nel frattempo anche il partito dei Verdi, Bündnis 90/Die Grünen, aveva fatto uno strabiliante salto di qualità: dalle manifestazioni pacifiste e anti NATO degli anni ’80 e ’90 si era trasformato nel partito piu’ atlantista d’Europa. Pochi giorni dopo l’insediamento del governo “semaforo”, il 29 dicembre 2021 Gazprom annunciò che entrambe le condotte del Nord Stream 2 erano già riempite di gas in pressione e pronte a iniziare le forniture. In base a un sondaggio dell’agenzia Forsa del maggio 2021 risultava che il 75% dei tedeschi approvavano il gasdotto. Nonostante le sanzioni americane, gli inghippi burocratici, gli ostacoli frapposti dai Paesi di transito e da alcuni governi europei, il gasdotto finanziato da un consorzio di società europee, Uniper, Wintershall, Engie, OMV e Royal Dutch Shell, era stato ultimato, sia pure con 3 anni di ritardo, durante il terzo mandato della Merkel. Il gasdotto non è comunque mai entrato in funzione, il cancelliere Scholz dopo averne bloccato la certificazione ha subito senza batter ciglio la sua distruzione nell’attentato terroristico. Nell’aprile del 2023, quando gli effetti negativi della carenza dei prodotti energetici erano già evidenti, il cancelliere senza grandi tergiversazioni ha decretato la chiusura delle ultime tre centrali nucleari tedesche seguendo alla lettera le indicazioni del Green Deal.
L’attuale situazione economica della Germania è sotto gli occhi di tutti. Il governo “semaforo” di Scholz, che non è stato capace di reagire né all’insulto dell’ambasciatore ucraino Andrij Melnyk che l’aveva denominato “salciccia di fegato”, né allo scandalo del rifiuto da parte ucraina di incontrare il presidente Steinmeier, è di fatto lo strumento impiegato dagli USA per annientare la sovranità tedesca ed europea.
Il cancelliere Scholz resterà nella storia della Germania e dell’Europa come l'”omuncolo del semaforo”. Un brutto ricordo