Madagascar. A novembre si vota, tra il “mystère malgache” e la questione della nazionalità del presidente

di Francesco Giappichini

In Madagascar, nell’attesa delle presidenziali del 9 novembre, il clima politico è teso. In questi giorni è emersa la questione della nazionalità del presidente, Andry Rajoelina, che si ricandiderà per un nuovo mandato. Mentre l’opposizione, molto frammentata, contesta le recenti misure che limitano i diritti politici, e cavalca il malcontento. In questo panorama non può mancare l’ascesa di un candidato che si suppone sostenuto dalla Russia. Tutti scenari su cui incombono dati economici insoddisfacenti, insieme ai dilemmi che continuano ad avvolgere l’Isola, ovvero il «mystère malgache»: perché il Paese continua a stazionare da decenni tra quelli più poveri del pianeta, pur senza guerre, né conflitti etnici?
Andiamo però con ordine. Il favorito per il voto di novembre (il ballottaggio è previsto per il 20 dicembre) continua ad essere il capo dello stato. Il riformista Rajoelina dovrà contrastare l’ex presidente liberista Marc Ravalomanana, e forse un altro ex capo dello stato, il centrista Hery Rajaonarimampianina. Tra gli sfidanti emersi di recente, Hajo Andrianainarivelo, sino a marzo ’22 membro del governo, e l’uomo d’affari Maminiaina “Mamy” Ravatomanga, che pare però voler rinunciare. I media sono però affascinati soprattutto dal vicepresidente dell’International judo federation, Siteny Randrianasoloniaiko, lo sfidante filoputiniano. Come anticipato, in questi giorni l’opposizione cavalca la scoperta della nazionalità francese del presidente: la Costituzione stabilisce che la richiesta di una cittadinanza straniera comporta la perdita di quella malagasy.
La maggioranza rileva però che, nel caso di Rajoelina, siamo innanzi a un’acquisizione automatica: il presidente ha beneficiato di una concessione del governo di Parigi, e non si tratterebbe di un’istanza di cittadinanza straniera, così come disciplinata dalla legge. Le opposizioni contestano poi il recente divieto governativo di organizzare riunioni politiche all’aperto. La norma, formalmente a tutela dell’ordine pubblico, appare discriminatoria verso gli oppositori, giacché non si applica ai ministri né al presidente. E addirittura si limitano gli stessi comizi al chiuso: il politico può parlare solo nel collegio di riferimento, limitatamente alla sua attività, e tacendo sugli iter legislativi in corso.
Inevitabile l’intervento della Comunità internazionale: la norma «potrebbe contribuire al clima politico teso in vista delle elezioni», hanno scritto in una dichiarazione congiunta i rappresentanti di Unione europea, Germania, Stati Uniti, Francia, Giappone, Regno unito, Svizzera e Norvegia. Il malcontento dei cittadini è comunque evidente, ed è stato aggravato dalla crisi del settore della vaniglia: due mesi fa gli esportatori si sono di fatto ribellati al prezzo minimo legale imposto dal governo, giudicato troppo alto, e hanno infine ottenuto la liberalizzazione per l’export. Più in generale, l’economia non decolla. Il rimbalzo successivo alla pandemia si è indebolito, e il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede una crescita del 4%, con grandi pressioni inflazionistiche, e forte svalutazione. Difficoltà dovute, secondo l’Fmi, alla devastazione dei cicloni (che aggravano il decennale deficit infrastrutturale), alle debolezze del settore vaniglia, e alle incertezze sulla crescita globale, per via della guerra in Ucraina. Ebbene riuscirà ad approfittare dell’impasse il candidato Randrianasoloniaiko, la cui carovana elettorale “Mihava tour” è energicamente sostenuta dai russi?