Marocco. Nonostante la strage di Barcelona il re concede la grazia a 14 terroristi

di Vanessa Tomassini

Gli inquirenti spagnoli e le forze di intelligence europee sono concentrate nell’instancabile sforzo ricostruire la cellula terroristica che ha macchiato di sangue la Spagna. Gli autori e le menti del sofisticato attacco, pianificato nei singoli dettagli da mesi, stando a quanto trapelato dalle indagini sono tutti originari o collegabili al Marocco. La cellula, il cui operato è stato rivendicato e festeggiato da Daesh, sembra essere composta da giovani marocchini di età compresa tra i 17 e i 26 anni, l’unico 40 enne l’imam della moschea di Cambrils, Abdelbaki El Satty, anch’esso del Marocco.
Ed è proprio in Marocco che forse sono da ricercare le cause che hanno fatto precipitare nel circolo del terrore le capitali europee. Bisogna attraversare il Mediterraneo, un mare che qualcuno vorrebbe chiudere, ma che inevitabilmente collega l’occidente al cuore dell’estremismo islamico che è il Nord-Africa per cercare di trovare una spiegazione, anche se è difficile accettare una spiegazione per la follia protagonista alla Rumbla, a Cambrils e in tutti quegli attentati che hanno colpito i simboli dell’Europa fino ad oggi.
Non bastano le motivazioni economiche, la disoccupazione e la promessa di un paradiso, a far breccia nelle menti di baby jihadisti. Non può bastare la story telling del sedicente Califfato a conquistare la mente di un 17enne che condivideva coi suoi coetanei occidentali il mare, la musica e i campetti da calcio. Deve esserci qualcosa in più e quel qualcosa in più, lo si capisce parlando con i giovani libici, feriti da un passato coloniale che non hanno vissuto, ma che nelle scuole glie lo hanno spiegato, insegnato, inculcato quasi per non dimenticare.
Ma perché questi vespai sono ancora più pericolosi oggi?
Perché secondo l’Europol circa 300 foreign fighters fuggiti da Siria e Iraq sarebbero riusciti a tornare in Marocco, di questi probabilmente sei dei 12 terroristi che progettavano di colpire la Sagrada Familia, “accontentandosi” poi, per via di un errore, di soli 14 morti tra la Rumbla e Cambrils. Durante gli anni dell’autoproclamato califfato, quello che fino al 2014 era lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, si crede che oltre 1.600 marocchini abbiano viaggiato in Iraq e Siria. Poco più della metà di quel numero è stato ucciso nei combattimenti. Dalla Tunisia invece Daesh ha visto provenire il maggior numero di risorse, con la più alta rappresentanza pro capite tra le file dei combattenti stranieri del gruppo estremista. Esattamente, stando ai dati dell’Europol, ad arruolarsi sono stati circa 1.800 uomini e ragazzi. Ed ora che fanno ritorno nei loro Paesi è in Libia che trovano il loro habitat ideale, mischiandosi alle milizie, nel territorio fuori controllo di Derna nel Nord Est del Paese o trovando rifugio nel deserto del Sahara.
Da tempo il governo di Rabat ha dichiarato di aver impedito diversi attacchi terroristici su larga scala a Casablanca e nella capitale, ma non ha i mezzi necessari per arrestare i propri cittadini che svolgono operazioni fuori dai confini. E mentre l’Europa piange ancora le sue vittime, re Mohamed V in occasione del sessantaquattresimo anniversario della Rivoluzione del re e del popolo con cui si festeggia la fine del colonialismo in Marocco e il rientro dall’esilio del sovrano avvenuto il 20 ottobre del 1956, ha concesso la grazia reale a 415 detenuti. Tra questi 14 erano accusati di terrorismo e uno di loro era stato perfino condannato a morte ed ha subito un alleggerimento della pena a trent’anni. Anche se i 14 hanno tutti partecipato al programma di riabilitazione “Mossalaha”, in arabo riconciliazione, mostrando “pentimento per gli atti compiuti e attaccamento ai valori della Nazione”, la notizia diventa assordante e assume una valenza particolare nella comprensione delle motivazioni di quei giovani Jihadisti, forse da ricercarsi in quelle ferite lasciate dalle politiche colonialiste dei governi occidenta.