di Silvia Boltuc e Giuliano Bifolchi * –
La recente operazione militare condotta dall’Azerbaigian contro le forze di difesa dell’autodeterminata Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh è un forte segnale dell’instabilità della regione del Caucaso meridionale e si traduce come un campanello di allarme per gli attori regionali e internazionali a causa del possibile rischio dello scoppio di un nuovo conflitto sulla falsa riga di quanto accaduto nel settembre 2020.
Il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian ha iniziato una “operazione antiterrorismo” nel territorio del Nagorno-Karabakh per ripristinare l’ordine costituzionale. Il ministero della Difesa di Baku ha riportato che le forze militari azerbaigiane hanno utilizzato “armi ad alta precisione” contro le posizioni dell’esercito armeno e le sue strutture militari.
Baku ha giustificato questa operazione militare accusando Yerevan non solo di avere forze armate in loco, ma anche di bombardare sistematicamente le posizioni militari azerbaigiane, minare i territori nazionali dell’Azerbaigian, lavorare sui miglioramenti ingegneristici alle posizioni di combattimento, nonché aumentare il numero di trincee e rifugi negli ultimi mesi.
Sergey Ghazaryan, ministro degli Esteri dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh/Artsakh, ha commentato l’accaduto evidenziando come recentemente Baku ha effettuato trasferimenti giornalieri di truppe e ha accumulato diverse armi dando vita anche a una serie di attività informative e propagandistiche preparando il terreno per un’aggressione su larga scala contro il Nagorno-Karabakh.
Ghazaryan ha sottolineato che nelle ultime 24 ore il governo di Baku ha diffuso informazioni false affermando che il governo di Stepanakert avesse presumibilmente effettuato operazioni di sabotaggio e sparato contro le posizioni militari azerbaigiane. Dalla sua Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia, ha smentito le accuse azerbaigiane inerenti alla presenza di forze armate armene nel territorio del Nagorno-Karabkah.
Sul suo canale Telegram Ruben Vardanyan, ex primo ministro della Repubblica di Artsakh, ha registrato un video dichiarando che “l’Azerbaigian ha iniziato una guerra per sterminare gli armeni in Nagorno-Karabakh”.
Questa operazione militare azerbaigiana segue un piccolo esito positio avvenuto proprio nella giornata di ieri. Infatti, dopo mesi di blocco azerbaigiano del corridoio di Lachin, il 18 settembre 2023 il Comitato internazionale della Croce Rossa ha trasportato 28 tonnellate di aiuti umanitari, tra cui farina di grano, forniture mediche e articoli igienici, nel Nagorno-Karabakh attraverso la Strada Akna (Agdam) – Stepanakert.
Questa missione umanitaria è stata il risultato di ampie discussioni che hanno coinvolto il Comitato internazionale della Croce Rossa, il comando delle forze di peacekeeping russe in Artsakh e mediatori internazionali ed è stata intrapresa in risposta alla gravissima situazione umanitaria causata dal blocco completo imposto dall’Azerbaigian.
Se analizziamo lo scenario geopolitico regionale dobbiamo ricordare come dal dicembre 2022 il Nagorno-Karabakh è isolato a causa del blocco imposto dalle autorità di Baku nel corridoio di Lachin, unica via di collegamento che unisce l’Armenia al territorio dell’Artsakh.
Iniziato come una protesta da parte degli ambientalisti azerbaigiani, successivamente il governo di Baku ha non solo imposto un blocco militare, ma tagliato le forniture di gas naturale durante il periodo invernale. Da più di 10 mesi quindi la popolazione armena del Nagorno-Karabakh affronta una crisi umanitaria data dalla mancanza di prodotti e servizi essenziali che ha visto una sorta di immobilità da parte della comunità internazionale.
L’operazione anti-terrorismo lanciata dalle forze armate azerbaigiane non solo conferma la programmazione da parte di Baku e quindi da ancor più credito alle recenti notizie in merito all’accumulo di armi e soldati da parte dell’Azerbaigian ai confini con il Nagorno-Karabakh. Inoltre quanto fatto da Baku evidenzia il modus operandi azerbaigiano di ricorrere oramai all’utilizzo della forza militare invece che al dialogo diplomatico.
Già nel conflitto del Nagorno-Karabakh del 2020 il governo azerbaigiano aveva preferito le armi al processo di pace guidato dal Gruppo di Minsk dell’OSCE. Con l’aggressione militare ai danni dell’Armenia nel settembre 2022 e la recente operazione militare ai danni di Stepanakert, è evidente come la strategia azerbaigiana faccia perno maggiormente sulla forza militare rispetto alla diplomazia, andando contro i principi stabiliti dalla stessa Unione Europea che negli anni è divenuta un partner strategico e commerciale fondamentale per l’Azerbaigian.
Anche se entrambe le parti si accusano di violazione degli accordi e dei confini ed è sempre difficile comprendere chi abbia ragione, occorre notare come il blocco del corridoio di Lachin e questa operazione militare rischino di aggravare ulteriormente una situazione già complessa e delicata che la popolazione armena del Nagorno-Karabakh sta vivendo.
Interessante vedere come l’offensiva militare di Baku avvenga nei giorni in cui l’Armenia sta conducendo delle esercitazioni militari con gli Stati Uniti sul proprio territorio, una decisione presa da Yerevan dopo le critiche del primo ministro armeno Nikol Pashinyan sul mancato operato russo nel gestire al meglio la situazione nel corridoio di Lachin.
È quindi doveroso chiedersi se la comunità internazionale agirà nei confronti di Baku oppure se gli interessi geopolitici prevalgano anche in questo caso: infatti il gas naturale azero è fondamentale per l’Unione Europea per garantire la sicurezza energetica in un momento così difficile a causa delle sanzioni europee alla Russia, così come il territorio azerbaigiano rappresenta un’area strategica per Washington nella macroregione Caucaso-Mar Caspio.
Quindi Bruxelles e Washington, dopo le tante promesse fatte a Yerevan, staranno a guardare anche questa volta, oppure decideranno di intervenire con il rischio di rovinare i rapporti con Baku e il suo alleato “fratello” Ankara? Oppure, anche in questo caso, alla fine Yerevan dovrà rivolgersi a Mosca anche dopo le forti parole di accusa da parte del primo ministro Pashinyan nei confronti del Cremlino?
Nel mentre che si vanno a delineare le diverse strategie e che si cerca di dare risposta a queste domande, le autorità di Stepanakert dichiarano che l’offensiva azerbaigiana ha causato già due vittime e il ferimento di 11 persone, tra cui 8 bambini, a dimostrazione di quanto sia pericolosa la situazione che si sta vivendo nella regione.
* Articolo in mediapartnership con SpecialEurasia.