Niger e Gabon: la retorica vuota di Borrell, ‘soluzioni africane per i paesi africani’

Macron è preoccupato, teme che Putin gli rubi l'uranio. La giunta del Niger ordina l'espulsione dell'ambasciatore francese, che però resta lì.

di Enrico Oliari

In occasione del recente incontro di Toledo con i ministri degli Esteri dei Ventisette, il Pesc Josep Borrell ha esternato preoccupazione per il fatto che Cina e Russia possano approfittare dell’ennesimo colpo di Stato nell’Africa occidentale per inserirsi in modo radicale nella regione. Il golpe in Gabon, l’ottavo dal 2020, sa infatti di rivolta in particolare contro la Francia, ed i militari potrebbero, come sta accadendo in Niger, Burkina Faso e Mali, guardare a Mosca e a Pechino per cercare nuove alleanze.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di “ripristino della democrazia” e di reinsediamento del “presidente democraticamente eletto”, ma in realtà proprio l’influenza francese ha permesso di mantenere una situazione incredibile che di democratico ha poco o nulla: il presidente Ali Bongo ha svolto due mandati e recentemente è stato eletto per il terzo, ma le opposizioni hanno denunciato brogli e si sono attivate nonostante il blocco di internet stabilito dallo stesso presidente. Presidente che, è bene ricordare, è figlio di Omar Bongo, padrone del Gabon per 42 anni.
Ali Bongo, che si trova agli arresti domiciliari, è accusato di essersi arricchito alle spalle del paese, ricco di risorse naturali sfruttate in particolare dalle aziende francesi, una realtà che stona con quella di uno dei paesi con il maggior tasso di povertà del mondo.
Intanto i Ventisette stanno studiando sanzioni verso la giunta militare del Niger, che ha messo a segno un golpe fotocopia solo un mese prima di quello del Gabon, e ripetendo frasi che si sentono da mezzo secolo il capo della diplomazia europea ha affermato che “sosterremo soluzioni africane per i problemi africani”, ovvero “la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Ecowas) nel contrastare questo colpo di stato militare, mettendo in campo lo stesso tipo di sanzioni”.
Ovviamente le sanzioni obbligheranno il paese a guardare altrove, appunto verso Mosca e Pechino.
La giunta militare del Niger, che sembra godere del sostegno della popolazione, ha disposto l’espulsione dell’ambasciatore francese Sylvain Itte, una mossa alla quale l’Eliseo ha risposto affermando che la giunta militare non è titolata ad espellere il diplomatico, e Macron ha sottolineato che l’ambasciatore resterà nel paese nonostante le pressioni dei golpisti. Al momento la situazione è tesa, con la polizia che ha ricevuto l’ordine di accompagnare l’ambasciatore Itte fuori dal paese, ma che farlo significherebbe provocare la reazione armata di Parigi.
Oggi decine di migliaia di manifestanti, forse 100mila, si sono radunati davanti a una base francese in Niger per chiedere il ritiro dei 1500 militari francesi, una manifestazione che segue quella di ieri durante la quale è stata tagliata la gola a una capra avvolta nei colori della Francia. I cartelli e gli slogan recitano “avete saccheggiato le nostre risorse, dovete andarvene!”.
Macron ha ribadito il suo sostegno al deposto presidente Mohamed Bazoum, ma in ballo c’è ben altro che la stima politica: il Niger è il principale produttore di uranio per le 19 centrali atomiche francesi, complessivamente 58 reattori che producono il 75% dell’energia elettrica del paese, ed il rischio è che, nel pieno della russofobia europea e della guerra ucraina, siano i russi a metterci sopra le mani. Il presidente francese ha tuttavia assicurato che l’estrazione dell’uranio sta continuando.
Com’è stato per la crisi ucraina, l’attuale leadership europea ha fatto carta straccia dell’impegno al dialogo e al compromesso, preferendo schierarsi, ovvero essere di parte. Costi quel che costi ai cittadini europei.
Forse Borrel, invece di perdersi nella retorica vuota del “soluzioni africane per i paesi africani”, dovrebbe chiedersi come sia possibile che nel principale fornitore di uranio e altre materie prime della Francia manchino infrastrutture ed un gabonese su tre viva al di sotto della soglia di povertà, 100mila famiglie con meno di un dollaro al giorno. Oppure ci sono dittatori che non vanno bene in Libia, ma benissimo altrove?