Nucleare: l’Italia non prende parte alla riunione per il Tpan

di C. Alessandro Mauceri

Dopo un lungo e travagliato iter, dovuto anche all’ostruzionismo di alcuni paesi, il 22 gennaio 2021 è entrato in vigore il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPAN) delle Nazioni Unite. Un passo avanti notevole: non si parla più della “non proliferazione”, del divieto di produrre nuove armi nucleari (peraltro già violato da molti paesi), ma della decisione di eliminare completamente tutte quelle esistenti. Un numero spaventoso: secondo i dati del SIPRI sarebbero 12.705 le armi nucleari nel mondo, e del quale molti tra i paesi più importanti del pianeta preferiscono non parlare.
Invece se ne parla oggi e domani a Vienna, durante la prima riunione delle parti del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, il primo spazio intergovernativo per discutere seriamente della messa al bando di queste armi. Un momento di riflessione particolarmente importante anche in considerazione di ciò che sta avvenendo in Ucraina, con l’occidente che sembra essere tornato indietro ai tempi della Guerra Fredda. Anni caratterizzati dalla continua minaccia nucleare da entrambe le parti, dotate di un arsenale nucleare impressionante che decenni si “sviluppo” e di “crescita umana” non sono bastati a far scomparire. Per questo motivo l’evento dei prossimi giorni a Vienna è particolarmente importante: un punto d’incontro per discutere di tanti problemi. Al quale però molti paesi hanno già fatto sapere di non partecipare. A cominciare dai paesi pacifisti, che non hanno mai firmato questo accordo. Paesi come gli USA. O la Spagna che si è rifiutata di partecipare anche solo come osservatore, come invece faranno alcuni paesi europei e della NATO.
A Vienna l’Italia non ci sarà. A confermare la decisione di non voler partecipare ai colloqui, secondo gli organizzatori, sarebbe stato l’ufficio del sottosegretario agli Affari esteri Benedetto Della Vedova. Una decisione che ha scatenato molte polemiche: “Senzatomica e Rete italiana Pace e Disarmo esprimono rammarico per la decisione presa dal governo, che perde l’occasione di poter discutere al tavolo con rappresentanti di paesi e società civile provenienti da tutto il mondo, il tema del disarmo nucleare reso sempre più urgente dal conflitto in Ucraina”, si legge in una nota dei gruppi italiani che prendono parte all’iniziativa. “Purtroppo – continua – il nostro paese non sarà tra i circa cento governi che parteciperanno agli incontri di Vienna, dove è prevista anche la presenza di Stati non firmatari del Trattato come Svezia, Finlandia e Svizzera e anche alleati NATO come Germania e Norvegia“.
Pesante anche il giudizio di Jordi Armadans, direttore di FundiPau, una delle organizzazioni non governative promotrici della Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari (ICAN), che ha vinto il Premio Nobel per la pace 2017: “Questa è la prima pietra di un viaggio molto lungo. Ma una volta attivati tutti i meccanismi, non possono più ignorarci. Ci sono prima e dopo. Molti anni fa non era possibile avere un tale spazio”, ha dichiarato Armandans. “Fino ad ora, le potenze nucleari hanno controllato la narrazione. Questa conferenza è uno spazio libero e multilaterale”.
Non essere presenti a questo incontro significa molto di più che astenersi, come pure l’Italia ha fatto finora non firmando il TPAN. Significa prendere una posizione geopolitica che confermerebbe le accuse da sempre rivolte verso i governi che in passato hanno detto di non volere la proliferazione di armi nucleari ma non si sono mai rifiutati di ospitare queste armi sul territorio nazionale, una settantina in diverse basi.
Una scelta questa confermata anche da un altro dato. Le polemiche sugli F35, i cacciabombardieri oggetto di mille polemiche circa il loro funzionamento e la loro affidabilità non sono mai finite. Molti paesi hanno cancellato gli ordini, anche a costo di pagare sanzioni elevate. Non l’Italia che ha continuato a comprarli e prendere parte alla produzione in delega. Nei giorni scorsi, il 16 giugno, alla base NATO di Ghedi è stato consegnato un nuovo F-35A, matricola MM7366 / numero di costruzione AL-16. Come ha confermato ai giornalisti il colonnello Lacaita, sarà raggiunto da altri velivoli simili.
Una delle caratteristiche dell’F-35A è di poter trasportare e scagliare le bombe nucleari B61-12 prodotte dagli USA. Alla fine del 2021, durante la prima dimostrazione del sistema d’arma completo dell’F-35A, due aerei F-35A dell’US Air Force hanno rilasciato una bomba nucleare tattica B61-12 Joint Test Assemblies (JTA). “Le armi della serie B61 sono armi nucleari tattiche a gravità che possono essere utilizzate su velivoli a doppia capacità (Dual Capable Aircraft) come l’F-15E e l’F-16C/D“, ha dichiarato il tenente colonnello Daniel Jackson, capo divisione per la deterrenza strategica e integrazione nucleare della sede centrale dell’Air Combat Commad. “Avere un aereo da caccia di quinta generazione DCA idoneo ad utilizzare questo armamento porta una capacità di livello strategico completamente nuova che rafforza la missione di deterrenza nucleare della nostra nazione“. Il caccia di quinta generazione F-35A completa il test finale con la bomba nucleare tattica B61-12.
Nei mesi scorsi l’integrazione della bomba nucleare tattica B61-12 sugli F-35A è stato oggetto del dibattito sulla sostituzione della flotta Tornado della Luftwaffe con un velivolo che fosse necessariamente in grado di utilizzare le B61. Chiamare “tattiche” e “deterrenti strategici” bombe nucleari che hanno una potenza distruttiva da tre a quattro volte le bombe atomiche scaricate su Hiroshima e Nagasaki è preoccupante. Sarebbe un modo molto strano di rispettare gli accordi di non proliferazione firmato dagli USA nel lontano 1968 e depositato nel 1970, e dall’Italia, che ha ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare UNODA Treaties.
Essere presenti a Vienna anche solo come osservatori, come hanno fatto altri paesi che non hanno mai ratificato il TPAN, avrebbe avuto un grande significato politico e geopolitico. Avrebbe potuto segnare una svolta e forse aprire la strada al dialogo, oltre che rispettare quanto previsto dalla Costituzione e dalle leggi sulla non proliferazione delle armi nucleari. Decidere di non esserci, al contrario, dice che l’Italia non vuole eliminare queste armi. Anzi.
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”, dice l’articolo 11 della Costituzione. Ma gli italiani sembrano averlo dimenticato. E dopo aver regalato all’Ucraina armi e armamenti per la “difesa”, ma anche per l’“offesa”, il governo ha deciso di non partecipare al primo incontro mondiale per l’eliminazione delle armi nucleari, nemmeno come osservatore. Quale sarà il prossimo passo.