Premio Nobel per la Pace all’Ican

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Al mondo esistono più di 15mila armi nucleari, ufficialmente a disposizione di Stati Uniti, Russia, Cina, India, Pakistan, Francia, Gran Bretagna e Corea del Nord. A questi paesi si aggiungono quelli delle relative alleanze, ad esempio la Nato, nel cui quadro sono ospitate armi un po’ ovunque.
Le recenti tensioni con la Corea del Nord, che il 3 settembre ha fatto esplodere un ordigno all’idrogeno da 160 chilotoni, ha alzato la preoccupazione in un modo che fino a poco tempo fa sperava in una marcia indietro delle varie potenze.
Per contrastare riarmo nucleare l’Onu ha creato l’Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari che raccoglie oltre 468 gruppi di 101 paesi diversi.
Ed all’Ican e al suo impegno è andato oggi il Premio Nobel per la Pace, per cui la presidente del comitato norvegese del Nobel, Berit Reiss-Andersen, ha spiegato che “Stiamo mandando un messaggio a tutti gli stati in particolare agli stati nucleari”, nella speranza che “si avviino negoziati rivolti alla graduale eliminazione dal mondo delle 15mila armi nucleari”.
A ritirare il premio c’era Beatrice Fihn, direttrice esecutiva di Ican, la quale ha affermato che “L’elezione di Donald Trump ha spinto molte persone a preoccuparsi del rischio nucleare”, “se vi spaventa che il presidente americano abbia il nucleare, dovreste essere contrari alle armi atomiche in generale”.
“Per me è un onore immenso, faccio fatica a descriverlo – ha aggiunto -, è un premio importantissimo per tutti coloro che lavorano alla lotta contro le armi nucleari, un tributo ai sopravvissuti di Hiroshima e anche alle vittime dei test nucleari”.
Non è un buon momento per l’immagine del Premio Nobel per la Pace: nel passato anche recente è stato assegnato il riconoscimento, suscitando numerose perplessità, a personaggi come Barak Obama, capo di uno Stato perennemente in guerra ed il primo nella produzione e nella vendita di armi, come pure a Aung San Suu Kyi “per la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani”, tranne quelli dei Rohingya, verso i quali nel paese da lei comandato è in corso una vera e propria pulizia etnica.
Il silenzio della fondazione sul caso della leader birmana ha deluso, tanto che è stata lanciata su change.org una petizione per revocarle il Nobel per la Pace che ha raccolto 430 mila firme.