Putin fa revocare la concessione di impiego dei militari in Ucraina. E in Austria firma per il South Stream

di Guido Keller –

putin crimea south stream grandeNonostante il cessate il fuoco annunciato dal premier dell’autoproclamata “Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Borodai, i separatisti hanno compiuto due attacchi ad altrettanti posti di blocco dei militari situati tra Sloviansk e Krasni Liman e tra Severodonetsk e Starobelsk, per altro senza provocare vittime. Ne ha dato notizia il portavoce delle forze ucraine a est, Vladislav Selezniov ed è segno che la tensione rimane altissima; d’altronde gli insorti hanno riportato che solo poche ore prima le truppe di Kiev hanno aperto il fuoco con colpi di artiglieria contro postazioni dei filo-russi nei pressi di Semenivka, come pure l’agenzia ufficiale russa Itar-Tass ha riportato di spari nella notte da parte dell’esercito ucraino nei dintorni del villaggio di Privolie, vicino Lisichansk, dove sarebbe rimasta uccisa una donna. Sarebbero tuttavia assai più numerosi da entrambe le parti i casi di infrazione della tregua.
Sul fronte politico-diplomatico c’è da registrare l’importante novità dell’iniziativa del presidente russo, Vladimir Putin, di chiedere al Senato la revoca della concessione della possibilità di utilizzare le truppe di Mosca nel territorio ucraino, un segnale importantissimo che va nella direzione di un sostegno al piano di mediazione proposto dal collega ucraino Petro Porosheno: esso si sviluppa su 14 punti che prevedono, tra l’altro, il disarmo, un’amnistia per i reati non comportanti l’omicidio e la tortura, il riconoscimento delle autonomie locali, la tutela della lingua russa e un salvacondotto per il rientro dei mercenari in Russia.
Punto irrinunciabile per il presidente russo rimane il coinvolgimento delle rappresentanze degli insorti nelle trattative di pace, ipotesi alla quale Poroshenko si è detto due giorni fa possibilista.
La notizia dell’iniziativa di Putin presso il Senato è stata accolta con soddisfazione dall’Unione europea e da Washington, dove il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha comunicato che “Salutiamo davvero ogni iniziativa russa per mettere termine alla crisi ucraina, in particolare la decisione del presidente Putin di chiedere alla Duma di revocare la risoluzione che dà autorizzazione alle forze russe di intervenire in Ucraina”. “Allo stesso modo – ha continuato – salutiamo l’accordo dei separatisti per un cessate-il-fuoco e chiediamo che lo rispettino. E sosteniamo anche in ogni punto le dichiarazioni del presidente Putin sull’importanza di un simile accordo”.
Earnest si è comunque fatto latore dell’ammonizione della Casa Bianca: “Detto ciò, se nei prossimi giorni queste parole non sono seguite da azioni, ci saranno problemi”, ovvero nuove sanzioni.
La strategia della tensione nelle regioni orientali dell’Ucraina ha permesso a Putin di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica sulla Crimea, la penisola annessa unilateralmente alla Russia e che ospita la Flotta del Mar Nero: sebbene lo stesso Poroshenko avesse detto non appena eletto che con la sua presidenza la Crimea sarebbe ritornata all’Ucraina, il Cremlino rimane irremovibile sulla non restituzione al legittimo proprietario, anche perché rappresenta una sorta di compensazione sulla mancata adesione di Kiev all’Unione Doganale e ai molti debiti che l’Ucraina ha con le banche russe.
Volendo ben guardare il passaggio della Crimea alla Russia converrebbe a tutti: alla Russia, all’Ucraina, che così potrebbe dirigersi verso Bruxelles come chiedevano i manifestanti di Piazza Maidan, e all’Unione Europea, che porrebbe un ulteriore freno all’espansionismo economico russo e chiuderebbe una volta per tutte la questione del Kosovo.
Dopo aver chiesto al Senato la revoca della concessione, Putin è volato a Vienna dove ha potuto sottoscrivere proprio grazie alla sua ritrovata veste di uomo di pace l’accordo per la costruzione del tratto austriaco del gasdotto South Stream.
Il modus operandi di Putin ha tuttavia avuto dei costi: come ha spiegato il vicesegretario dell’Ufficio per Diritti dell’Uomo presso l’Onu, Ivan Simonovic, sono infatti 423 i morti tra civili e militari in due mesi di scontri, mentre il numero degli sfollati in Ucraina “è raddoppiato da due settimane, con un vasto movimento di popolazione, circa 15.200 individui, nelle regioni di Donetsk e Louhansk”. In totale, al 23 giugno, l’Alto Commissariato Onu ai rifugiati ha recensito 46.100 sfollati, di cui 11.500 provenienti dalla Crimea e circa 34.600 dall’est dell’Ucraina, ma “le cifre reali sono verosimilmente più elevate”.