Putin minaccia la fine delle relazioni con la Turchia. E Obama si rimette in gioco come “pacificatore”

di Enrico Oliari –

erdogan grandeCom’era del tutto prevedibile, l’abbattimento del Sukhoi russo da parte della Turchia ha acceso un’escalation i cui esiti non sono prevedibili.
La posizione della Turchia resta oggettivamente poco difendibile a prescindere dal fatto che il caccia russo abbia volato o meno per pochi secondi oltre il confine (l’unica cosa al momento certa è che è caduto in territorio siriano): il rischio, remoto ma non fantascientifico, è quello di un conflitto su larga scala, e la storia insegna che le guerre sono iniziate anche per molto meno.
Ma che ad Ankara la si sia fatta grossa se ne è accorto anche Recep Tayyp Erdogan, anche perché, da politico navigato qual’è il presidente turco, sa che quanto accaduto può avere dei costi importanti che ne’ la Nato, di cui il suo paese è membro, ne’ gli Stati Uniti, ne’ l’Unione Europea sono disposti a sostenere.
Putin infatti ha parlato di “Un colpo di pugnale alle spalle sferrato dai complici dei terroristi”, ma anche di “avvenimento tragico avrà delle conseguenze serie sulle relazioni fra Russia e Turchia”. E, se l’intento era quello di fermare un aereo che colpiva gli alleati in Siria di Ankara (turcomanni o qaedisti non ha importanza), il presidente russo ha già fatto sapere che i raid lungo il confine siriano, luogo di rifugio per chi combatte, continueranno: ’’Dopo quello che è successo ieri, non possiamo escludere qualche altro incidente, e se succederà dovremo reagire in un modo o nell’altro’’.
Il premier russo Dmitri Medvedev, che ha parlato di “Una pericolosa escalation dei rapporti tra Russia e Nato che non può essere giustificata con alcun interesse, compresa la protezione dei confini” e di “sconsiderate azioni criminali delle autorità turche che hanno abbattuto l’aereo russo”, ha già informato che “Le lunghe relazioni di buon vicinato tra Russia e Turchia sono state minate” e che che le prime “conseguenze dirette” potranno essere “la rinuncia a una serie di importanti progetti comuni e la perdita di posizione nel mercato russo da parte delle compagnie turche”. Tanto per dirne un paio, il gasdotto “Turkish Stream”, per cui a gennaio il numero uno di Gazprom Alexéi Miller aveva detto che “chi vuole il gas russo se lo andrà a prendere in Turchia”, al momento tuttavia bloccato anche per il braccio di ferro sullo sconto richiesto da Ankara, o la costruzione della centrale atomica da 4,8 gigawatt di Akkuyu, costo 20 miliardi di dollari.
Un’escalation che, tuttavia, rischia di far saltare il lavoro fatto a Vienna, ovvero il tentativo di mettere insieme una coalizione unitaria contro l’Isis e soprattutto volta a cercare una soluzione politica alla crisi siriana, dopo 5 anni di guerra e 250mila morti.
Putin ha già dato ordine di trasportare alla base militare russa di Khmeimim, a Latakia, i sistemi di difesa antimissilistica S-400.
Quanto sta accadendo rappresenta tuttavia l’opportunità per il presidente Usa Barak Obama di rimettersi in gioco dopo che la propria azione in Siria è drammaticamente fallita nella realtà di uno scontro senza fine, dell’incremento del terrorismo e del dramma umanitario di milioni di profughi: l’entrata a due piedi nello scenario bellico e diplomatico della Russia ha di fatto messo ai margini gli Stati Uniti, ma l’incidente di ieri può dare al presidente Usa il ruolo di mediatore, cioè di colui che raffredda la tensione.
Gli Usa hanno confermato che l’aereo russo ha volato per 17 secondi in territorio siriano, e Obama, che si è sentito al telefono con Erdogan, ha ribadito “il sostegno di Usa e Nato al diritto della Turchia di difendere la propria sovranità”, ma al tempo stesso ha sottolineato la necessità di una de-escalation delle tensioni con la Russia.
Una de-escalation che conviene a tutti, non tanto per la minaccia del Cremlino di snocciolare le prove dell’importante sostegno dato dalla Turchia all’Isis, bensì per tenere in piedi il tavolo di Vienna, al momento unica via di uscita dalla crisi siriana.